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DEMOCRATICI NELLA BUFERA. Bersani: non chiedo a D'Alema di ricandidarsi

Roberta D'Angelo mercoledì 17 ottobre 2012
Tira aria da resa dei conti nel Pd. Più che una sfida per le primarie sembra una lunga notte dei lunghi coltelli a Largo del Nazareno, dove il passo indietro di Veltroni, unito alla pressante richiesta di "rottamazioni" fatta da Renzi, ha un effetto deflagrante. Tanto che la risposta di Pier Luigi Bersani sul futuro parlamentare di Massimo D’Alema apre un nuovo caso, pur essendo una constatazione semplice riguardante lo Statuto. Per tutti, ormai, il leader pd scarica l’ex segretario ds, aprendo di fatto la porta – in uscita – a diversi big che hanno completato il loro ciclo. A sorpresa, anche il vicesegretario Enrico Letta lascia, pur non avendo raggiunto i quindici anni previsti dal regolamento del partito. Nel clima teso in cui il renziano Reggi dice di aspettare i cadaveri dei decani del partito, ogni parola assume dunque un peso consistente. Così il segretario, a sera, dice che avrebbe voluto una sfida sui contenuti, e tenta di chiudere la falla ormai aperta, chiedendo al sindaco avversario di cambiare rotta: «La rottamazione finisce per svilire il confronto sul Paese». Ma la guerra è in corso.Lo statuto viene incontro ai desideri di Renzi di svecchiare il panorama politico targato pd, concedendo un massimo di tre mandati, salvo deroghe. Bersani, alla domanda sul futuro dalemiano, replica: «Non chiederò a D’Alema e a nessuno di candidarsi. Io farò applicare la regola: chi ha fatto più di 15 anni, per essere candidato deve chiedere la deroga alla direzione nazionale». Per D’Alema è una doccia fredda. La risposta, infatti, non fa una piega dal punto di vista procedurale. «Non decide Bersani ma il partito, così dice lo statuto», incassa l’ex ministro degli Esteri, che però forse si aspettava altro. Né i due si chiariscono nella telefonata pomeridiana. D’Alema tenta di pungolare il leader democratico, facendo leva sulla possibilità che Renzi si intesti la vittoria. Ma a Bersani il rinnovamento fa gioco nella sfida con il giovane sindaco. «Io quelli da rottamare – dice, rivolto a Renzi –- li conosco tutti, e non da oggi parlo con loro. E sono buon testimone che non c’era bisogno di Renzi perché facessero una riflessione». Tanto più che l’arma statutaria era già stata messa in conto. I conti veri, però, Bersani deve farli con quella larga fetta di suoi sostenitori che incontra in serata, da Fioroni a Bindi a Finocchiaro a Turco e Marini, tutti con diversi mandati alle spalle. Tra loro, c’è chi minaccia di votare la legge elettorale con le preferenze, su cui il segretario del Pd non transige. Tra loro, però, i malumori viaggiano su diversi piani. Oltre al dato anagrafico, c’è malumore per l’abbandono dell’agenda Monti. In questa chiave si legge anche l’addio al Parlamento di Letta, secondo cui «il futuro dell’Italia si costruirà intorno a Monti e Bersani».Il segretario tenta di tenere insieme la squadra, compatta contro i toni alti del rottamatore. Al quale replica di smetterla «con i vittimismi». Ma i toni sono un po’ ovunque sopra le righe. Anche il sindaco di Firenze si infuria, per essere stato definito «fascistoide» dal quotidiano pd "L’Unità": «Sono sconvolto. È un insulto inaccettbile».