La giornata si era aperta con il niet di Pierluigi Bersani, che in una lettera a Repubblica aveva ribadito la propria contrarietà ad un «governissimo», rilanciando un esecutivo di «cambiamento e una convenzione delle riforme». Posizione che aveva suscitato le ire del centrodestra: «L’Italia è a bagnomaria, basta coi balletti». In serata, però, ecco il colpo di scena: «Finalmente Bersani si è aperto, è disponibile a un incontro...», annuncia alle telecamere "amiche" del Tg4 Silvio Berlusconi, soddisfatto d’aver fiaccato la resistenza del segretario del Pd, che- pressato da una frangia del partito - ha deciso abbassare il ponte levatoio e recarsi infine ad un vis-à-vis con la controparte. Il timing delle parole di Berlusconi è scelto con cura: la sortita televisiva giunge poco dopo l’ennesimo monito del Colle, che ha auspicato fra le forze politiche un coraggio simile a quello che ispirò il governo di larghe intese del 1976. Da giorni il Pdl loda la «saggezza» di Giorgio Napolitano e lo stratega Silvio coglie l’attimo giusto per mostrarsi in sintonia. Basta, avverte, con «la passività delle altre forze politiche che hanno perso 43 giorni e sono intenzionate a perdere altro tempo prezioso. Il Paese non può più aspettare». Chi la dura la vince, insomma, è il motto di giornata ad Arcore, dove si attende di concordare il giorno dell’incontro («La data non è stata fissata», precisa Berlusconi, ma c’è chi scommette su stasera, chi su giovedì o venerdì). Comunque sarà prima del 18 aprile, data di convocazione delle Camere per l’elezione del nuovo Capo dello Stato: «È il banco di prova per testare la solidità di un possibile accordo - assicurano in via dell’Umiltà -. Il Pd dovrà proporre una personalità non di parte». E il vicesegretario del Pd, Enrico Letta lo conferma: «Proveremo a trovare un nome <+corsivo>super partes<+tondo>, magari quello di una donna». I petali della rosa sono gli stessi da giorni, al punto che rischiano di appassire: Giuliano Amato, Franco Marini, ma anche Massimo D’Alema o un profilo femminile "trasversale" come quello di Anna Maria Cancellieri. Il nome "impronunciabile" resta quello di Romano Prodi («In quel caso, noi voteremmo Napolitano»). Se l’accordo sul Colle si dovesse trovare, potrebbe perfino scattare un eventuale appoggio esterno del Pdl, «altrimenti mai». Ma l’ipotesi preferita è la partecipazione effettiva a un «esecutivo di responsabilità» che «duri due o tre anni». Così, ragiona il Cavaliere, si potrebbe chiudere all’angolo e indebolire il Movimento 5 Stelle, che anche ieri l’ha attaccato, piazzandolo al primo posto di un’annunciata lista di «30 ineleggibili». Ci sarebbe però da discutere su durata, composizione e programma del costituendo governo. Berlusconi tiene ferma la linea: «La mia posizione la conoscono tutti: bisogna dare subito un governo stabile e forte al Paese per prendere quei provvedimenti urgentissimi, che si impongono per rilanciare l’economia. È necessario abbassare la pressione fiscale». Il Cavaliere insiste sugli 8 punti programmatici del Pdl, diventati proposte di legge in arrivo al Senato: «Solo così si può e si deve uscire dalla recessione per creare nuovi posti di lavoro». Ieri sera, rientrato a Roma, Berlusconi ha discusso coi suoi colonnelli in un vertice a palazzo Grazioli. Sul tavolo, resta il piano di riserva: «Se Bersani resta inamovibile, l’alternativa è tornare al voto il prima possibile. E il nuovo capo dello Stato avrà un’arma in più: il potere di scioglimento delle Camere». Nel frattempo, il Pdl resta «in mobilitazione permanente, a iniziare dalla manifestazione di sabato a Bari», che il Cavaliere sta preparando con cura (andrà venerdì sera in città per curare gli ultimi dettagli). E il fatto che anche il Pd, lo stesso giorno, sia in piazza a Roma, contribuisce al clima "elettorale". Lo conferma una punzecchiatura del Pdl, affidata a un tweet: «Contro la povertà non si manifesta. Si governa».