Attualità

Gli anni in politica. Berlusconi, dalle tv a leader italiano ed europeo

Angelo Picariello lunedì 12 giugno 2023

Silvio Berlusconi sul predellino dell'auto, davanti a Palazzo Reale a Milano, per la campagna elettorale di Forza Italia

Il battesimo del fuoco di Silvio Berlusconi al governo arriva senza soluzione di continuità con la discesa in campo, e con un episodio che l’aveva preceduta. «Cavaliere, se lei votasse a Roma chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini?» gli chiese la giornalista della redazione di Bologna dell’Ansa Marisa Ostolani a Casalecchio di Reno, dopo il taglio del nastro del supermarket di Euromercato, gruppo Fininvest. E lui: «Io credo che la risposta lei la conosca già. Certamente Gianfranco Fini». Era il 23 novembre 1993, in un colpo solo Berlusconi confermava, così, le voci sull’imminente sua discesa in campo (che due mesi dopo ufficializzerà nel celebre videomessaggio) e “sdoganava” la destra pronta ormai alla “svolta”, per lasciarsi alle spalle le scorie del Ventennio. A seguito del trionfo alle elezioni del 27 e 28 marzo, dopo soli 6 mesi si ritrova a Palazzo Chigi, a inaugurare la Seconda Repubblica, nata sulle ceneri di Manipulite. Si propone come homo novus e cerca la tregua con le toghe milanesi chiedendo a due figure simbolo come Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo di entrare al governo rispettivamente all’Interno e alla Giustizia. Ma entrambi rifiutano.

Il primo governo Berlusconi è un mix fra fedelissimi (come Gianni Letta uomo chiave sottosegretario alla Presidenza e Cesare Previti alla Giustizia), tecnici e intellettuali come Giuliano Urbani, Giuliano Ferrara, Antonio Martino, Giulio Tremonti, Stefano Podestà, Roberto Maria Radice e Giorgio Bernini (padre di Anna Maria, attuale ministro dell’Università) e seconde file della Prima Repubblica come Francesco D’Onofrio, Clemente Mastella, Alfredo Biondi e Raffaele Costa. La pattuglia del Msi-Alleanza nazionale, si integra bene proprio in forza di quel patto, che sembra di ferro, con Fini. Ma a recitare un ruolo di primo piano nell’operazione è Pinuccio Tatarella, uno dei due vicepresidenti del Consiglio, che sarà artefice della “svolta di Fiuggi”. Ma quando questa matura, il 27 gennaio 1995, la favola del primo governo Berlusconi è già finita. Se Tatarella infatti garantiva per tutto il partito non ci riusciva l’altro vice, Roberto Maroni, essendo mission impossibile imbrigliare un puledro come Umberto Bossi.

Il governo Berlusconi I (retto da un’alleanza che va da Alleanza nazionale alla Lega Nord al Centro cristiano democratico, con Fi nel complicato ruolo di perno) resta in carica solo 8 mesi, dall’11 maggio 1994 al 17 gennaio 1995. Cade in forza del combinato disposto fra l’inizio dei suoi guai giudiziari (con il ben noto avviso di garanzia appreso il 22 novembre 1994 leggendo il Corriere della Sera, mentre presiedeva una vertice Onu sulla criminalità organizzata a Napoli) e la rottura progressiva con Bossi, che a dicembre gli nega la fiducia. Per la Lega è un attimo passare dall’essere la terza gamba nordista del primo governo di centrodestra a «costola della sinistra» (Massimo D’Alema dixit, il 31 ottobre 1995, in una intervista al Manifesto). Le redini del governo passano a Lamberto Dini, che era stato membro dell’esecutivo del Cavaliere, al Tesoro, recitando però un ruolo in proprio come garante dei conti, in forza della sua provenienza da Bankitalia.

Si va ad elezioni anticipate nell'aprile 1996, e con la nuova alleanza del Polo per le libertà il Cavaliere conosce la prima sconfitta, seppur di misura, per mano dell'Ulivo di Romano Prodi, l’eterno rivale. Alle Europee del 1999, ottenendo quasi tre milioni di preferenze Berlusconi inizia la risalita e il 13 maggio 2001, a capo stavolta della Casa delle libertà, ottiene un gran successo che lo riporta a Palazzo Chigi, riuscendo stavolta a governare per tutti e 5 gli anni , nonostante lo scontro ormai aperto con i magistrati per via dei tanti processi. Nell'aprile 2006 la seconda sconfitta, sia pur di misura. Ma ben presto l'Unione messa insieme da Prodi, stretta fra i suoi estremi decisivi e inconciliabili di Bertinotti e Mastella, si rivela tutt’altro che unita. La legislatura sarà brevissima, e nella primavera del 2008 arriva per Berlusconi la vittoria più netta, a suggellare l’ennesimo progetto del Popolo della libertà, la federazione fra Fi e An lanciata nel novembre 2007 a Milano, in piazza San Babila, salendo sul predellino della sua auto. Fini resta scettico, dopo 15 anni il rapporto fra i due si deteriora, fino alla rottura in diretta, 22 aprile 2010, alla direzione del Pdl, con la celebre reazione del presidente della Camera, in prima fila: «Che fai, mi cacci?», che poi si mette in proprio con Futuro e Libertà. Alla conta in aula Berlusconi la spunta di misura, ma la sua navigazione è indebolita dai numeri risicati e dall’esplosione della crisi economica, fino all’impennata dello spread e le sanguinose dimissioni rassegnate al Colle da Napolitano a fine 2011.

A Palazzo Chigi non tornerà più.

Per di più il primo agosto 2013 la Corte di Cassazione conferma la condanna impartita dalla Corte di appello nel processo Mediaset a 4 anni di reclusione e viene disposta per lui una misura alternativa: l’affidamento in prova al servizio sociale, nella clinica “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone. Poi la Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato vota a favore della sua decadenza da senatore per effetto della legge Severino.

Ma non è la sua uscita di scena definitiva. L’ex premier continua a guidare, a distanza, il suo partito e si presenta alle consultazioni per i nuovi esecutivi, sia quelli di Conte sia poi, nel febbraio 2021, per quello di Mario Draghi. Celebre e simbolica la sua presenza, nell’aprile del 2018, al fianco di Matteo Salvini, portavoce della coalizione unita nelle consultazioni al Colle dopo il voto del 2018, con lui che mima i punti che il leader della Lega enumera, come a far intendere che le carte le dà ancora lui, anche se il suo partito è sceso al 14%, doppiato dal Carroccio.

Nel maggio 2018 il Tribunale di Sorveglianza di Milano lo riabilita dalla pena per frode fiscale e così il 26 maggio 2019 può essere eletto al Parlamento europeo. Alle elezioni dello scorso anno il ritorno in Parlamento, eletto a Palazzo Madama da dove era assente da dove 9 anni, leader di una Forza Italia scesa ormai sotto la doppia cifra, ma pur sempre componente indispensabile per consentire a Giorgia Meloni di vincere le elezioni e di formare il nuovo governo di centrodestra.

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