Si inseguono. Alle 9,30 Silvio Berlusconi si presenta senza annunci al suo processo più scabroso. E nell’aula ordinaria della quarta penale, d’un tratto angusta, per la prima volta appare Ilda Boccassini. È l’udienza della notte in Questura, della telefonata del Presidente per l’affidamento di Ruby alla Minetti, della pretesa concussione dei funzionari di polizia, che ha consentito di ancorare a Milano il processo per prostituzione minorile. E la signora della Procura non lascia solo il sostituto Giuliano Sangermano. Replica nel pomeriggio. Il Cavaliere che aveva annunciato "vado via", torna ad udienza aperta. Dopo cinque minuti scende dal quarto piano la sua accusatrice. Insieme hanno rispettato il copione. Ma per tutto il primo tempo la scena è stata di Giorgia Iafrate, giovane funzionaria di polizia, che sembra nel suo giacchino nero una matricola all’università. La notte del 27 maggio 2010 coordinava tutte le volanti milanesi: il turno più difficile. Si presentò un’ora prima per ricevere con le consegne anche il "caso Ruby", se ne andò alle cinque del mattino. La Boccassini, le fa dire della giovane età e dell’inesperienza, come a giustificarla di aver ceduto alle pressioni dei suoi capi, e prima ancora a quelle di Roma. Ma lei per due volte replica: «Inesperta sì, sprovveduta no». Poi completa: «Dopo due anni posso dire che sono stata, che siamo stati molto scrupolosi». E sorride soddisfatta come dopo ogni risposta a quella esaminatrice accigliata. Era stato Piero Ostuni, il capo di gabinetto che, ricevuta telefonata da Berlusconi, le aveva chiesto di accertare se la "ragazzina" fosse davvero nipote di Mubarak. Le disse anche che Nicole Minetti era già stata spedita a riprenderla in Questura, col titolo improbabile di "consigliere ministeriale". Lei accertò in un attimo che Ruby era marocchina, che col Rais non aveva nulla a che fare: «Me lo disse lei stessa». Aveva avuto a che fare invece, con Nicole, che abbracciò piangendo, chiedendole di portarla via. Fu lungo convincere il pm dei minori, Annamaria Fiorillo, che voleva affidarla a una comunità. Iafrate fu al centro di un vortice di telefonate, delle telefonate estenuanti delle quali la Boccasini ha potuto registrare solo le cadenze e i secondi. Così lei racconta che solo dopo aver accertato, con foto-segnalazione, impronte digitali, telefonate alla casa famiglia di Messina, l’ultima dalla quale era fuggita, la vera identità di El Marough Karima. E che alle due di notte l’affidò "formalmente" alla Minetti. «Lei ha ritenuto che la disposizione del pm, di cui aveva l’obbligo di rispettare l’ordine, potesse essere disattesa», le contesta la Boccassini. La Iafrate ricorda, col solito sorriso, che non c’erano comunità disposte ad accogliere nelle notte Ruby, poi completa: «Nell’ambito dei miei poteri di pubblico ufficiale di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in Questura in condizioni non sicure o affidarla ad un consigliere regionale eletto dal popolo, ho ritenuto di seguire quest’ultima possibilità».Per una volta rasserenato, il Cavaliere alla fine si riprende la scena. Racconta che nel dubbio che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak aveva l’obbligo di avvertire la Questura; che «le feste di Arcore» non erano altro che gare di burlesque, che i costumi delle ragazze erano abiti neri (da harem) regalatigli da Gheddafi. Che Ruby non l’ha mai più sentita, ma è contento abbia trovato un buon ragazzo che l’ha sposata. Che invece le altre poverine, distrutte dalla procura di Milano, deve assisterle per evitare che finiscano male: «Se hai un un equipaggio devi mantenerlo».