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MILANO. Il premier: s'indaghi sui pm di Milano

lunedì 9 maggio 2011
«Macché dialettica processuale, questo è un teatrino!» Francesca Vitale bacchetta le inutili baruffe tra le parti nell’udienza che presiede. Silvio Berlusconi allarga appena le braccia come a confermare: «L’avevo detto io!». La sua parte lui l’ha recitata fuori dall’aula, nell’intervallo. E si è quasi difeso come  un imputato qualsiasi. Ha messo persino da parte le cinque paginette sul caso Mills che Bruno Vespa gli ha anticipato dal suo ultimo libro, "Viaggio in un’Italia diversa". Lui quell’avvocato londinese l’ha conosciuto quando «me lo fecero vdere in fotografia». E gli spiegarono la storia «inventata» dei 600.000 dollari in nero per due testimonianze «aggiustate». Invece erano soldi che l’avvocato non voleva né spartire con i soci dello studio, né farsi falcidiare dal fisco. Li aveva presi, come parcella, dal conto di un altro cliente, Faruk Agrama, un armatore che ha americanizzato  in Frank la sua nazionalità egiziana. Mills raccontò agli ispettori inglesi di aver aggiustato due deposizione al processo All Iberian. Non fu molto efficace, visto che il Cavaliere vi rimediò una condanna 2 anni e 4 mesi, annullata in Appello dopo l’abolizione del reato di falso in bilancio e la prescrizione per l’illecito finanziamento dei partiti (Craxi ). Ma implacabili, almeno quanto gli ispettori di sua Maestà, i pubblici ministeri milanesi convocarono Mills e si rifecero ripetere la storia in una drammatico interrogatorio durato 10 ore. Di qui l’apertura di un nuovo e più grave processo: corruzione in atti giudiziari. In tutta questa partita, Mills, ricorda il premier chiaramente soddisfatto, non ci ha guadagnato nulla con tutte le penali pagate al fisco inglese che non ha creduto alla storia della "donazione".  Insomma un «processo surreale, un processo morto», che non sarebbe neppure cominciato se  non fosse passata la tesi che la corruzione parte dal momento in cui il corrotto ricicla i soldi non quando li incassa. Ma ora, arrivi o meno la legge sul processo breve, la mannaia cala comunque il prossimo gennaio. Lo sa bene il pm Fabio De Pasquale irritato per la presunta "melina" difensiva. «Richiamare un testimone è un lusso che non possiamo permetterci», replica a Longo e Ghedini che hanno chiesto di riascoltare Paolo Marcucci. E’ un imprenditore farmaceutico che aveva affidato qualche miliardo a David come lo chiama confidenzialmente. Sentito come teste d’accusa ieri, dovrebbe essere risentito come teste per la difesa. «Come se ce lo potessimo permettere». Non sarà invece risentita Gabriella Chersicla. Consulente per la procura, si è avventurata nei bilanci opachi di decine di società off-shore. Ma in un mare di conti, storni, bonifici, non ha potuto trovare, naturalmente, una sola traccia che conduca direttamente da Berlusconi a Mills. Sarà invece sentito il suo ex marito, consulente sulle stesse carte per la difesa. E poi, se sarà possibile rintracciarli, tutti quelli che dovrebbero confermare la disinvoltura del legale d’affari nello "sminestrare" i conti dei clienti. A cominciare da Flavio Briatore, che ha assicurato per telefono la sua presenza all’udienza del 16 maggio, ma ha dato per la notifica «l’indirizzo del suo chauffer a Londra».E questo è l’unico processo che sta in piedi a Milano, l’altro, quello Ruby, «è un’altra barzelletta» sostiene Berlusconi. «Su Arcore è competente Monza, e sulla presunta concussione è competente il Tribunale dei ministri». In somma, si lascia sfuggire, «non credo che questo processo si farà». E dopo Moubarak chiama in causa anche Gheddafi. Ricorda come si adoperò in Svizzera per tirare fuori dai guai il figlio del rais. «Anche perché io sono gentilissimo. Per Ruby ho chiesto solo un’informazione in Questura. E poi temevo un altro incidente diplomatico». Luigi Gambacorta«STRAGI, BASTA MISTERI»In una pausa del processo Mills, Berlusconi fa una promessa ai cronisti: «Dopo vi faccio un regalino...». Meno di mezz’ora e la mantiene: «Nel mio partito c’è una richiesta, una commissione d’inchiesta per evidenziare se all’interno della magistratura c’è un’associazione a delinquere. Quelli che indagano su di me sono sempre gli stessi». Una proposta, quella della commissione d’inchiesta sui pm (in particolare quelli milanesi, definiti di nuovo dal premier «eversivi» e «cancro della democrazia»), che il Pdl ha già depositato da settimane. Ma nel giorno in cui si ricordano i giudici uccisi dal terrorismo rosso e nero, il rischio è che l’esternazione sia letta in contrapposizione alle parole di Napolitano. E allora, il Cavaliere riempie la giornata di dichiarazioni concilianti con il Colle. Prima dichiarando che lui non si irrita «mai» quando prende la parola il presidente della Repubblica, poi «inchinandosi» anch’egli di fronte ai «giudici eroi» uccisi negli anni di piombo, infine rilasciando una nota ufficiale proprio sulla commemorazione delle vittime del terrorismo. «Concordo – scrive il premier – con le nobili parole del capo dello Stato. Ci impegneremo a fare verità, il governo aprirà gli armadi della vergogna perché nessuna strage rimanga più avvolta dal mistero». Non solo: Berlusconi dice «basta» alla presenza di ex terroristi nelle «tribune mediatiche e universitarie», e ricorda (passaggio politico che mette nel mirino la sinistra) i «cattivi maestri» che «hanno giustificato quella folle ideologia criminale».Nella mattinata passata in Aula, al netto dell’annuncio sulla commissione d’inchiesta, Berlusconi ha provato a lanciare altri messaggi di disgelo istituzionale: «Non è vero che attacco i giudici, sono grato ai magistrati che hanno respinto le accuse negli altri 24 processi a mio carico». Con toni di rappacificazione qualifica come «indebiti» i manifesti affissi a Milano che paragonavano i pm ai brigatisti, dice di non ricordare l’espressione «brigatismo giudiziario» usata in una sua esternazione, e prende le distanze dall’autore dei murali, il candidato Pdl Roberto Lassini: «L’ho chiamato solo dopo aver avuto la certezza che si era ritirato dalle elezioni...». Allo stesso tempo, però, spara nuovi colpi contro la procura ambrosiana: «Il procedimento Mills ha dell’incredibile, è il peggiore di tutti, ma è già morto anche senza la prescrizione breve... E il processo Ruby è un’altra barzelletta, Milano non ha alcuna competenza sul caso. La notte in cui la ragazza era in questura sono stato solo gentilissimo, chiedendo un’informazione».Anche gli scambi con il Colle sono a tinte diverse. «Non mi pare – dice – che la legge sul processo breve abbia profili di incostituzionalità, ma non so cosa farà Napolitano». Quanto alla necessità, espressa dal Quirinale dopo l’infornata di nove sottosegretari, di «informare» il Parlamento sui nuovi equilibri politici, il Cavaliere ribadisce di essere «prontissimo» ad una verifica in Aula: «La maggioranza c’è».Ma chi gli è vicino ammette che, nonostante la serenità ostentato in pubblico, il Cavaliere è quantomeno «sotto stress» per le numerose uscite di Napolitano (di converso, nei corridoi del Quirinale si ripete che il premier era stato avvertito per tempo circa le conseguenze del primo rimpasto), fattore che si unisce al carico di responsabilità sull’esito delle amministrative che Bossi gli ha messo sulle spalle. E anche nel Pdl si mormora: non piace, in un «frangente troppo delicato», l’«eccessivo credito» dato alla pasionaria Santanché. Marco Iasevoli