Nel primo giorno da separati in casa, dopo la lite in cui sono volati (verbalmente) i piatti, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si ignorano bellamente. Il primo si è concesso a telecamere e macchine fotografiche, ma non ai giornalisti, nel cortile di Palazzo Chigi, provando un nuovo modello di automobile russa. Una battuta, salendo a bordo: «C’è un meraviglioso predellino, ma – ha detto il presidente del Consiglio, riferendosi alla fondazione del Pdl certe cose non si ripetono». E quando i cronisti hanno provato a chiedergli come stava, sperando di tirargli fuori commenti sul duro scontro in direzione, ha risposto placidamente: «Si lavora, si lavora sempre troppo...». Il secondo ha rivestito i panni di presidente della Camera ed è andato a parlare a un corso di formazione a Firenze. Anche da parte di Fini nessun riferimento alla giornata di giovedì. Ma solo una lunga lezione sulle riforme istituzionali, durante la quale, però, ha ribadito i suoi punti di vista che coincidono poco o nulla con quelli del Cavaliere. Ovvero: opzione preferenziale per il ritorno al collegio uninominale, quando Berlusconi ha fatto sapere che la legge elettorale non si tocca. Ancora, il capitolo dell’immigrazione, con qualche indiretta stoccata alla Lega: «I problemi relativi a questo tema se affrontati in modo un po’ provinciale, da volantino, in modo un po’ propagandistico non portano molto lontano. E questo perché si tratta di questioni destinate a cambiare il volto delle nostre società occidentali». O, ancora, l’appello a fare riforme condivise, lodando esplicitamente il premier per averne parlato: «Se vogliamo trovare il bandolo della matassa invece che contrapporre i modelli, dobbiamo bandire la tentazione di fare riforme che siano convenienti da una parte e non gradite all’altra». Ma il silenzio pubblico dei due leader copre un intenso lavorio politico e il reciproco risentimento che continua a covare sotto la cenere. Berlusconi ha ricevuto a Palazzo Chigi il sindaco di Roma Gianni Alemanno, ex An schierato con la maggioranza del Pdl, che si è comunque offerto per un ruolo di mediazione. E ha incaricato i suoi di sondare le intenzioni dell’Udc, i cui voti alle Camere potrebbero, in caso di defezione dei finiani, diventare preziosi per approvare provvedimenti del governo. Fini è rimasto in stretto contatto con i suoi, in vista delle prossime decisioni. L’impressione è che entrambi i due leader aspettino che sia l’altro, magari facendo un passo falso, a decretare la rottura definitiva. Il documento approvato dal Pdl tollera che ci sia una minoranza interna. Ma fa intendere chiaramente che non si accetteranno voti difformi in Parlamento. Per questo è stata, al momento, congelata la raccolta di firme per sfiduciare Italo Bocchino, fedelissimo dell’ex presidente di An, dall’incarico di vicecapogruppo alla Camera. Tra i due fronti contrapposti non mancano scaramucce. Il berlusconiano Giro definisce il discorso del presidente della Camera «distruttivo, lacerante e nichilista». Il finiano Bocchino «stizzita e non prevista» la replica di Berlusconi. E interviene di nuovo il presidente del Senato Renato Schifani, stavolta per spargere a piene mani parole di conciliazione: «Mi auguro che dopo la tempesta arrivi la quiete, perché il Paese ha bisogno di un clima meno teso e meno conflittuale».