Attualità

Niger. Berlino, Roma e ora Londra: la Francia esporta il Sahel. Un altro attacco: morti

Francesco Palmas venerdì 19 gennaio 2018

Si rialza la tensione in Niger, anche se di fatto la situazione è da tempo fuori controllo. Almeno cinque soldati nigerini e un civile sono stati uccisi "e molti altri feriti" mercoledì in un attacco attribuito a Boko Haram nel sud-est del Niger, a una postazione militare nei pressi del confine con la Nigeria. "Ci sono stati dei soldati morti e una decina di feriti in questo attacco di Boko Haram a Toummour", un Comune della regione di Diffa, ha spiegato un responsabile dei servizi di sicurezza mentre un'altra fonte ha parlato di "almeno cinque soldati e un civile uccisi". I jihadisti si sono anche impadroniti di una decina di veicoli dell'esercito bruciandone diversi altri, tra cui un
"carro da combattimento".
L'attacco è arrivato dopo alcuni mesi di calma nella regione, teatro in passato, dopo il febbraio 2015, di numerosi attentati legati a Boko Haram con "centinaia di vittime" come segnalano fonti locali. Nella vicina Bosso, nel giugno 2016, un assalto dei Boko Haram aveva causato la morte di 32 soldati spingendo il Ciad a inviare 2.000 militari per aiutare il Niger e la Nigeria a contrastare i terroristi. Il contingente era stato però ritirato nell'ottobre scorso.

Intanto, dal punto si vista militare i francesi stanno internazionalizzando l’operazione militare nel Sahel. Dopo aver incassato il contributo italiano in Niger, essersi assicurati la sponda tedesca qui e in Mali, hanno ottenuto rinforzi dai britannici. Era la notizia che aspettavano da tempo. Al vertice di ieri, all’accademia militare di Sandhurst vicino Londra, Theresa May ha confermato che schiererà nel Sahel personale non combattente e 3 elicotteri da trasporto pesante in Mali, per ossigenare l’annaspante missione tutta francese Barkhane e donare 56 milioni di euro in aiuti ai 5 Paesi dell’area e al Camerun. I britannici non metteranno gli scarponi nelle “sabbie”, ma aiuteranno Parigi in un settore altamente carente: quello degli elicotteri, dei mezzi di sorveglianza, d’intelligence, di ricognizione e soprattutto dell’ala rotante che, con il trasporto tattico, hanno sempre rappresentato il tallone d’Achille degli sforzi francesi nel Sahel. Per un teatro vasto 8 volte la Francia, le forze d’oltralpe hanno appena una quarantina di velivoli, se si escludono i mezzi dei servizi segreti e del comando per le operazioni speciali.

Come se non bastasse, i droni armati britannici stanno per tornare in patria dalla guerra contro lo Stato islamico. Dovrebbero presto aggiungere un “quid pluris” di capacità letale alla parte combattente delle operazioni, dopo aver bersagliato di missili i jiadhisti di Daesh. Quanto agli elicotteri, è inutile ricordare l’utilità dei Chinook britannici, che potranno sollevare carichi pesanti o un’intera sezione di 44 soldati francesi, proiettandoli in un teatro immenso, per assestare colpi di maglio improvvisi. Un modo per aumentare l’effetto sorpresa.

Nonostante la Brexit, i britannici si confermano un perno militare europeo, quasi imprescindibile. Spendono con i francesi metà del totale che l’Europa “militare” dedica alla difesa. Il che è tutto dire, visto che si annunciano tagli anche in Gran Bretagna. L’intesa cordiale fra le due sponde della Manica rivedrà i due ex-colonizzatori prendersi nuovamente a braccetto anche nel Sahel, in un teatro insidioso e sfuggente, dove i terroristi hanno rialzato la testa. In un rapporto preoccupante di inizio gennaio, l’Onu ha scritto nero su bianco che i gruppi armati «hanno rafforzato le capacità operative e ampliato la zona di operazioni», ben oltre le regioni di Mopti e Ségou, nel centro del Mali.

Di recente hanno colpito in Niger e Burkina soprattutto i jihadisti del Gsim pan-qaedista e del-l’Isbs affiliato al Daesh. Movimenti che daranno filo da torcere a tutti i nuovi arrivati nel Sahel, forse anche agli italiani, ma soprattutto la nuova formazione che i francesi stanno preparando da tempo: la forza G5-Sahel, fatta di 5mila nigerini, maliani, burkinabè, ciadiani e mauritani. In poche mosse cruciali di diplomazia abile e furbesca, Parigi ha gettato le basi per disimpegnarsi progressivamente da un teatro che assomiglia sempre più a un pantano, come sanno gli uomini della missione delle Nazioni Unite in Mali, la più mortale fra quelle patrocinate dall’Onu. Il 2017, si può riassumere nell’area molto crudamente: due morti al giorno. È il duro prezzo di ogni guerra, fatto in Mali di 245 caduti delle forze armate autoctone, di 45 caschi blu e di 2 francesi dell’operazione Barkhane. Più di quattrocento sono i morti fra i civili e gli “aggressori” in senso lato.

Mentre gli altri si mobilitano a puntellare i loro deficit di potenza, i francesi tramano già una “exit strategy” a breve-medio termine, per risparmiare i loro uomini, alleggerire la fattura delle operazioni all’estero, che da quest’anno è interamente a carico dei mi-litari, e far riposare mezzi e materiali. Sarà un “do ut des”, almeno con i britannici, visto che i soldati francesi torneranno con più forze in Estonia nel 2019, con blindati e carri, ai comandi del battaglione multinazionale Nato a guida londinese, per ’impressionare’ i russi sulla frontiera calda dell’Europa orientale e baltica.