Covid. Bergamo, i familiari delle vittime chiedono i danni
Di passi ne seguiranno molti altri, in altre aule e in altri tribunali. Il lungo cammino della verità giudiziaria sul Covid, sul virus che ha straziando la generazione dei grandi vecchi cresciuti nelle valli bergamasche tra edilizia e industria, ha però oggi un inizio concreto, intanto più formale che sostanziale. Tribunale civile di Roma, viale Giulio Cesare: poco prima di mezzogiorno, lì si aprirà la prima udienza della causa intentata da 500 familiari delle vittime del virus. C’è un faldone di 2.099 pagine, redatto da un team di avvocati coordinati da Consuelo Locati, a rappresentarne le ragioni e a chiedere un risarcimento; chiamati a rispondere sono Regione Lombardia, il ministero della Salute, la Presidenza del Consiglio dei ministri. La battaglia, superata la prima udienza più procedurale, s’annuncia lunga. Parallelo, scorre il fronte penale.
Sei indagati. Seicento chilometri più a nord la procura di Bergamo, guidata da Antonio Chiappani, continua a lavorare su un’inchiesta articolata. In piazza Dante si è ancora alle indagini preliminari – sei gli indagati noti – di un fascicolo con più filoni. Primo: si poteva fare una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro? Come persone informate sui fatti sono stati ascoltati i vertici lombardi e nazionali della gestione dell’emergenza, compresi Attilio Fontana e Giuseppe Conte. Ma, almeno finora, le eventuali responsabilità restano circoscritte ai codici della politica e non a quello penale.
Si apre oggi a Roma il processo civile
Diverso, nell’ottica degli inquirenti, è un altro tassello: cosa accadde all’ospedale di Alzano il 23 febbraio 2020, quando il pronto soccorso venne chiuso e riaperto nel giro di alcune ore, dopo la notizia dei primi positivi? Da ottobre risultano indagati Luigi Cajazzo, all’epoca direttore generale dell’assessorato regionale al Welfare, il vice Marco Salmoiraghi, la dirigente Aida Andreassi, il dg dell’Asst Bergamo Est (cui fanno capo gli ospedali di Alzano e Seriate) Francesco Locati, l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina; epidemia colposa e falso sono i reati contestati a vario titolo, tutti respingono le accuse.
Il primo tampone. Che il virus circolasse già prima, è cosa nota; su questo, tra l’altro, insiste il lavoro di consulenza che la procura ha affidato al microbiologo Andrea Crisanti, con risultati attesi entro fine anno. Almeno dal 13 febbraio 2020, lo conferma una relazione dell’ospedale inviata alla Regione poco dopo l’inizio della pandemia, ad Alzano arrivano pazienti con polmonite o insufficienza respiratoria acuta, risiedono soprattutto a Nembro. Non si fanno però i tamponi, perché questa era l’indicazione del ministero della Salute: il 22 gennaio 2020, infatti, una circolare indica che può essere eseguito, oltre ai casi collegabili a Wuhan, anche su chi «manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato», tuttavia il 27 il ministero aggiorna i criteri per il test lasciando solo il riferimento alla Cina. Però, ed è emerso nei giorni scorsi, il 26 gennaio viene ricoverato a Seriate un cittadino cinese residente in valle con polmonite bilaterale, ma senza test. Eppure di tamponi in provincia di Bergamo si ha traccia, ben prima di Codogno. Lo indicano altri documenti del sistema sanitario bergamasco: un primo test il 3 febbraio, un secondo il 6 febbraio e un terzo il 10 dello stesso mese, tutti con esito negativo. E dunque: il virus circola, il sospetto c’è ed effettivamente se ne cerca conferma, ma verosimilmente nei pazienti "sbagliati". È in questo arco temporale, tra fine gennaio e fine febbraio 2020, che si gioca una ricerca di responsabilità: si fosse intervenuti prima – è il nesso eziologico degli inquirenti – la tragedia sarebbe forse stata circoscritta.
Il piano pandemico. L’Italia si presenta all’appuntamento impreparata? Il secondo filone della procura di Bergamo si focalizza sull’effettivo funzionamento di un piano pandemico: secondo i magistrati, a febbraio 2020 vige un documento che è la replica non aggiornata di quello del 2006, perciò inadeguato. Per approfondire, sono sfilati in audizione davanti al pool i vertici del ministero della Salute. Un indagato c’è, quasi di "riflesso", ed è Ranieri Guerra, ex direttore generale della Prevenzione e direttore vicario dell’Oms, a cui si contestano false dichiarazioni. Non sul piano pandemico, in realtà, ma sul destino di un report dell’Oms – critico sulla gestione iniziale della pandemia in Italia – pubblicato e immediatamente ritirato nel maggio del 2020. Da oggi, almeno in sede civile, si entra in tribunale.