Attualità

Le misure. Benzina, il governo cambia il decreto. Congelato lo sciopero

Marco Iasevoli venerdì 13 gennaio 2023

Un mezzo dietrofront del governo sul fronte delle benzine e il congelamento dello sciopero convocato per il 25 e il 26 gennaio: è questo il risultato del combinato disposto tra le novità annunciate ieri sera a Tg "unificati" da Giorgia Meloni e l'incontro di questa mattina con i sindacati. "Abbiamo apprezzato il chiarimento avuto con Governo che ripristina una verità inequivocabile: i gestori non hanno alcuna responsabilità per l'aumento dei prezzi, né per le eventuali pretese speculazioni di cui si è parlato. Per quello che riguarda le organizzazioni dei benzinai, le polemiche finiscono qui. Ora è il momento di lavorare seriamente per restituire efficienza e piena legalità alla rete". Lo affermano con una nota congiunta Faib, Fegica, Figisc/Anisa al termine dell'incontro con il Governo. La decisione finale sullo sciopero, si comunica, sarà presa dopo aver visto la versione definitiva dell'ultimo decreto-benzina.

L'apertura di Meloni e Giorgetti e le modifiche al decreto

La giornalista Giorgia Meloni ha capito nel primo pomeriggio di ieri che per quotidiani, Tg e testate on line esisteva un unico titolo a caratteri cubitali: benzinai, autotrasportatori e anche la potente Assopetroli uniti contro il governo per l’aumento del carburante dovuto al ritorno a pieno regime delle accise di Stato. E ha capito cosa significa nel Paese quello sciopero annunciato per il 25-26 gennaio dai gestori degli impianti di rifornimento, tra l’altro accompagnato con parole durissime sintetizzabili in uno slogan non originale ma chiaro: «No allo scaricabarile». «Viene beatificato chi opera in evasione fiscale e viene gettato fango su di noi», dicono Faib-Confesercenti, Fegica e Figisc-Confcommercio ribaltando la narrazione dell’esecutivo: non è vero, insomma, che il carburante aumenta per via della speculazione, l’unico motivo - sostengono le sigle - è la decisione dell’esecutivo di far tornare in vita le accise che Draghi aveva spento nei mesi scorsi.

È la prima vera sfida che viene lanciata al governo da un pezzo di Paese non ostile a prescindere, ma che si è sentito messo ingiustamente sotto accusa dall’esecutivo. Meloni capisce il pericolo e in fretta e furia organizza due mosse: la prima, fa inserire nel Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio una doppia correzione del decreto-benzina da poco varato; la seconda, mette in piedi una doppia intervista serale al Tg1 e al Tg5, per provare a prendersi una parte di titoli. Nel cortile di Palazzo Chigi, con la luce della fredda sera romana, la premier rivendica le scelte compiute in manovra (stoppare il taglio generalizzato delle accise e concentrare le risorse sul caro-gas), smentisce le tensioni nella maggioranza sul tema delle accise («Fantasie, c’è grande coesione») e infine fa trapelare il suo reale timore: «La cosa che mi spaventa di più è non riuscire a raccontare agli italiani che questo governo sta procedendo con determinazione, a testa alta, senza perdere un minuto e con la consapevolezza che questa nazione si può risollevare ».

Insomma, il timore è che i problemi stiano prendendo il sopravvento, e non aiutano - sebbene la premier non lo dica - alleati che tacciono e la lasciano sola quando le scelte iniziano a scontentare. Perciò la correzione del decreto, che può essere considerata una mezza retromarcia sulle accise. La sostanza non cambia, al momento le tasse sul carburante non calano. Ma si apre una finestra per intervenire in questo senso in futuro. Su questo Meloni ha stretto un asse con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per resistere al pressing dei partiti. «Nel programma di Fdi parlo di sterilizzazione delle accise, non di taglio», prova a giocare di ermeneutica la premier.

Che poi spiega il meccanismo, la via di mezzo, concordata con il Mef e che Giorgetti poco prima aveva illustrato in Parlamento: un meccanismo per cui, all’aumentare dell’Iva incassata dallo Stato per i rincari dei carburanti, il governo potrebbe reinvestire la medesima somma sulla riduzione delle accise. Ma non è un meccanismo destinato a scattare nel breve periodo, segno che Palazzo Chigi e Mef puntano, piuttosto, sulla stabilizzazione dei prezzi e sulla “moral suasion” sugli operatori del mercato.

Perciò, poco dopo l’informativa di Giorgetti in aula, Palazzo Chigi interviene ad integrare perché le parole del ministro dell’Economia avevano dato adito a letture troppo ottimistiche circa un nuovo taglio delle imposte. Il ritorno alla linea-Draghi, anch’essa sostenuta, negli ultimi mesi del 2022, dai maggiori incassi Iva, sarebbe dunque una sorta di ultima strada. L’incontro di oggi con le sigle dei gestori, presente anche il ministro dello Sviluppo economico Adolfo Urso, dovrebbe dunque servire soprattutto a smussare i toni, e soprattutto a sgomberare dal tavolo l’idea che ci sia un accanimento o una strumentalizzazione da parte del governo nei confronti di una categoria. L'altra correzione concordata in Cdm al decreto-benzina è quello di rendere detassati per l'intero 2023 i voucher da 200 euro che le imprese possono dare ai dipendenti per comprare carburante. Ma non è detto che i due interventi in extremis siano sufficienti a placare le ire, sia perché non calmierano i prezzi ora e subito, sia perché il voucher-benzina da 200 euro non è generalizzato ed è a discrezione delle imprese.

Insomma non è detto che si riesca ad evitare lo sciopero del 25-26, che per il governo sarebbe come una macchia sul percorso sinora fatto. Ma sul tavolo, lo si è intuito dalle stesse correzioni apportate ieri al decreto, l’esecutivo dovrà mettere qualcosa in più. E non serve a placare proteste e malumori nemmeno il Bollettino della Commissione Ue che mette nero su bianco come il boom dei prezzi della benzina non sia solo un tema italiano, ma europeo. Ma che si avverte più forte - conferma Bruxelles - in Italia e Francia, che tassano di più benzina e diesel e hanno interrotto gli sconti.