Il rapporto. Beni confiscati alle mafie, cresce la trasparenza. Ma non ovunque
Un'operazione della Direzione investigativa antimafia
Una buona notizia sulla gestione dei beni confiscati alle mafie. Cresce, e non poco, la trasparenza dei Comuni sui beni loro assegnati. Più di sei su dieci pubblicano l’elenco e le informazioni sul loro sito Internet, strumento fondamentale di conoscenza per chi poi li vuole prendere in gestione. Su 1.100 Comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati sono 724, il 65%, quelli che lo pubblicano, con un aumento del 78% rispetto al 2022, quando la percentuale era stata solo del 36,5%. Lo rivela Libera in “RimanDATI” il terzo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e per la prima volta col prezioso contributo dell’Istat. Dati molto importanti perché i beni tolti alle mafie, dopo la confisca vengono assegnati proprio ai Comuni che ne diventano proprietari, “beni comuni” che vengono poi dati in gestione con bando pubblico a enti del Terzo settore o utilizzati direttamente a fini istituzionali. Quindi la conoscenza di questi beni è il primo passo per una corretta gestione. Ma la trasparenza migliorata non è uguale ovunque. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud, comprese le isole, con ben 248 Comuni che non pubblicano nessun elenco, segue il Nord con 87 Comuni e il Centro con 51 Comuni. A livello di singole Regioni, tra le più “virtuose” - quelle cioè che raggiungono o superano il 70% dei Comuni che pubblicano l’elenco - troviamo Liguria (87,5%), Emilia Romagna (84,4%), Puglia (79,8%) e Piemonte (78,2%). “Rimandati” (da titolo del Rapporto) con percentuale al di sotto del 50% sono Basilicata, Calabria, Lazio e Molise. Però anche le ultime in classifica si sono migliorate. Ad esempio le 4 Regioni che nel 2022 erano ferme a zero Comuni adempienti (Basilicata, Molise, Trentino e Valle d’Aosta), nel 2023 hanno fatto registrare un balzo in avanti. Più in generale, i dati migliorano in tutte le Regioni, con punte significative, considerato il peso regionale, per Campania, Piemonte e Liguria. Dopo la discesa del 2022, risale lentamente la Calabria, dove si passa dal 18,8% dello scorso anno al 49,8%. Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove, a fronte del 29,9% del 2022, nel 2023 si arriva al 56,5%. Libera però sottolinea come «è bene ricordare che tali considerazioni vanno lette con la massima cautela, dato il significativo peso relativo degli immobili confiscati che gli enti locali in queste Regioni sono chiamate a gestire». Ma certo alcune “bocciature” colpiscono. Come le tre Province e le due Regioni assegnatarie di beni confiscati che non pubblicano nessun elenco: si tratta di Crotone, Matera e Messina, e di Calabria e Lazio. Il Rapporto è stato realizzato grazie ad oltre cento volontari che hanno partecipato a un percorso di formazione. Due le fasi di monitoraggio sui 1.100 Comuni: una prima ricognizione ha fatto emergere che solo 504 Comuni pubblicavano l’elenco; dopo l’invio della domanda di accesso civico, con la richiesta di pubblicare o aggiornare gli elenchi, il balzo in avanti è stato notevole arrivando a 724 comuni. «Riteniamo fondamentale - commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera - che accanto ai percorsi mirati a garantire il riutilizzo sociale, anche la conoscibilità e la piena fruibilità dei dati e delle informazioni sui patrimoni confiscati siano elementi di primaria importanza. La trasparenza deve essere considerata anch’essa un bene comune, confortati dalle previsioni del Codice Antimafia, che impongono agli enti locali di mettere a disposizione di tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco». Purtroppo, denuncia Libera, «stiamo attraversando un periodo in cui dal governo arrivano segnali contrastanti sul sostegno agli enti locali: basti pensare a tutte le misure definanziate all’interno del Pnrr, fino ad arrivare al disegno di legge sull’autonomia differenziata, che bloccherebbe lo sviluppo di intere aree del nostro Paese. Inoltre, sempre di più prende piede un approccio privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati: nel dibattito pubblico si parla del tema della vendita e della rimodulazione delle misure di prevenzione, si banalizzano le criticità che affliggono la materia e si rafforza la brutta abitudine a piegare i numeri ai propri fini».
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