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Territori al voto. Bari, la sfida del dopo Decaro: «Periferie e giovani siano priorità»

Paolo Viana, inviato a Bari giovedì 18 gennaio 2024

L'arcivescovo di Bari Giuseppe Satriano

Congresso cittadino di Forza Italia con il viceministro Sisto, totonomi per il centrosinistra barese che si impalla sulla candidatura Petruzzelli, M5s che dichiara sintonia con il sindaco uscente sui punti programmatici… ma quali siano non si capisce. Flash da campagna elettorale, mesi prima delle elezioni. È proprio il programma il grande assente da queste elezioni amministrative nel capoluogo pugliese, attese per il 9 giugno. Le cronache locali sono zeppe di totonomi e la sostituzione del sindaco Antonio Decaro, che non può ricandidarsi perché ha già fatto due mandati (vincolo che il presidente dell’Anci ha criticato aspramente, come fa anche il governatore Emiliano), è già diventata una singolar tenzone tra segreterie e capibastone, piuttosto che svilupparsi in una discussione su ciò che serve realmente a questa città. Probabilmente perché Decaro ha ben governato - infatti i sondaggi premiano il centrosinistra con il 55% (dato Swg) - o forse perché è più facile fare il tifo per questo o per quello, piuttosto che informarsi sui propri interessi. Un male endemico del Paese. Non che di problemi nella città della focaccia non ce ne siano: se ci si allontana da Bari Vecchia - trasformata in una piccola Lugano dalla Giunta Decaro, che è riuscita a far capire ai baresi la redditività del turismo - per inoltrarsi in quartieri periferici, ma neanche tanto, come il Libertà, riappaiono strade dissestate e spazzatura abbandonata. Anche la microcriminalità ha rialzato la testa. Un contesto ben presente alla Chiesa locale, che attraverso l’arcivescovo metropolita Giuseppe Satriano, in questa intervista, fa il punto della situazione.


Bari, una delle sedi di questa diocesi e soprattutto il capoluogo della regione, rinnoverà tra pochi mesi il sindaco e il governo della città. A scorrere i giornali sembra che il problema sia solo quello di trovare un candidato per il dopo Decaro e non i programmi, le infrastrutture, la viabilità, il lavoro, la situazione sociale… A Bari, dunque, va tutto bene?

La crescita di Bari è un fenomeno innegabile e il tributo di stima che il sindaco Decaro riceve dai baresi - e non solo - è un dato oggettivo – risponde l’arcivescovo metropolita di Bari-Bitonto, Giuseppe Satriano –. La prolungata stabilità amministrativa registrata con gli ultimi tre sindaci ha fatto bene alla città. Bari è progressivamente passata da una dimensione provinciale a quella di città metropolitana. Questo significa, però, che anche le sfide - sul piano sociale, culturale, delle infrastrutture, del lavoro - sono diventate più complesse. Certamente la riqualificazione del territorio ha segnato un passo importante nella ricezione di un flusso turistico senza precedenti. Permangono, però, alcune discrasie legate alle periferie, che restano sostanzialmente dei quartieri dormitorio, con servizi insufficienti, e una criminalità sempre presente nel controllo del territorio. Anche la divaricazione della forbice tra ricchi (sempre meno) e poveri e l’invecchiamento della popolazione costituiscono le sfide su cui è necessario un rinnovato slancio. Per tali ragioni, a livello diocesano, abbiamo pensato di rivolgere l’attenzione ecclesiale alle periferie, con uno sguardo pastorale mirato, non in ottica assistenzialistica, ma per sovvertire la prospettiva. Come afferma il Vangelo, la salvezza viene dalle realtà marginali, povere, capaci di creatività e novità di vita.

Papa Francesco, incontrando i giovani del progetto Policoro, qualche mese fa osservava che “la politica non gode di ottima fama”, soprattutto perché è inefficiente e distante dalla vita della gente e invitava i politici a coinvolgere le persone, generare imprenditorialità e far sentire la bellezza di appartenere a una comunità. Ma quanto siamo disposti a uscire dal confort dei nostri smartphone, che ci danno l’illusione di essere spettatori e giudici, per sporcarci le mani con il bene e il male comune?

Nella nostra civiltà post-moderna e iperdigitalizzata, i dati affermano che le nuove generazioni non credono nelle forme attuali dell’esercizio del potere. Il disinteresse verso l’impegno politico è l’esito di uno scetticismo di fondo nei confronti dei partiti, incapaci di aggregare intorno a una visione, offrendo solo un “eterno presente” senza identità. I giovani di oggi raccontano una complessità esistenziale che facciamo molta fatica a riconoscere anche perché abbiamo difficoltà ad ascoltarli. Lo smartphone diviene tana, rifugio, via di fuga e corazza per non soccombere all’assenza di un “domani”. La superficialità con cui parliamo dei giovani e ai giovani racconta quanto il mondo adulto sia lontano dal loro disagio e dalle loro richieste su clima, lavoro, diritti, istruzione. Da loro arriva una profondità di lettura della vita che non siamo ancora capaci di percepire e accogliere come provocazione per il cambiamento.

Uno dei problemi della città è la microcriminalità giovanile. Non è un problema solo barese, ma interroga le famiglie, gli educatori e le istituzioni che non riescono a dare risposte ai ragazzi. Cosa fa la Chiesa?

Le forme di aggregazione giovanili “non sane” che inquietano la vita sociale nascono da un disagio che non trova ospitalità e a cui spesso si risponde con una via moralistica e repressiva. C’è una sfida educativa da assumere sulla quale, anche come Chiesa di Bari, siamo in ritardo. Consapevoli di non possedere alcuna bacchetta magica, ma solo la forza di una responsabilità che nasce dal Vangelo, si cerca di camminare utilizzando la rete territoriale costituita dalle parrocchie. Presidiando il territorio, proviamo a riconquistare in maniera creativa i luoghi della convivenza civile, tessendo le relazioni sociali. Un timido lavoro lo si va compiendo nei luoghi della movida, favorendo iniziative di strada, tese ad abitare spazi non usuali della vita parrocchiale e a incontrare i nostri giovani.

Centri che scoppiano e che vengono incendiati: Bari è ancora una città accogliente?

La città e il territorio metropolitano hanno messo sempre in campo una vocazione sincera all’accoglienza. Sono varie le declinazioni di questo impegno, che trova risposta non solo nelle istituzioni, ma anche nell’operato di associazioni e di singoli che “a mani nude” si adoperano nel dare vita a una solidarietà autentica. Certamente anche i nostri centri di accoglienza fanno fatica a sostenere il forte flusso migratorio. Il Cara, negli ultimi mesi, ha registrato un elevato ingresso di ospiti e permane delicata e difficile la gestione dei minori non accompagnati, per la mancanza di strutture idonee. A memoria non ricordo atti intimidatori e ostracizzanti, ma solo qualche marginale atto vandalico. Credo sia giunto il momento di abbandonare ideologismi e dannose retoriche nel dibattito pubblico sul tema dello straniero. Il fenomeno migratorio è inarrestabile e necessita di risposte complesse, disattese fino ad oggi dai nostri governi. «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare», sono i verbi che papa Francesco ci consegna per edificare una cultura possibile dell’accoglienza.

Anche i poveri italiani sono sempre più poveri, al punto che nelle parrocchie scarseggiano i pacchi alimentari che finora rappresentavano un salvagente. Cosa le raccontano i preti?

La perdita di lavoro, il disagio mentale, le fatiche familiari sono alla base dei disagi che causano povertà tra la nostra gente. La solidarietà della gente è sicuramente un cuscinetto importante per evitare il deflagrare di situazioni spesso nascoste, dove l’indigenza si fa strada in maniera drammatica. Ad oggi, non registro difficoltà nel prenderci cura dei poveri che bussano alle nostre mense e alle parrocchie. Inoltre la Caritas diocesana porta avanti un lavoro di rete che ci permette di operare con le istituzioni, supportando il cammino dei più deboli. Anche l’introduzione di un microcredito e la realizzazione in fieri di una Fondazione Caritas sono il tentativo di rispondere con lungimiranza alle fatiche di tanti.

La Cisl ha appena lanciato l’allarme sugli anziani non autosufficienti di Bari e provincia, che aumentano, mentre le Residenze sanitarie assistite (Rsa) non sono in grado di fronteggiare la maggiore richiesta di posti letto: nei prossimi 20 anni ne serviranno quattromila in più e l’offerta privata si allarga, dissanguando le famiglie. Le istituzioni rispondono con l’assistenza domiciliare, meno gravosa per i bilanci pubblici, ma è sufficiente?

La domanda richiederebbe una seria analisi dei dati, ma sappiamo come il problema dell’assistenza degli anziani non autosufficienti è ormai un’emergenza nazionale. È necessario ripensare a un modello di assistenza domiciliare integrata e continuativa, cercando di superare il gap tra sanitario e sociale, tra pubblico e privato. Al contempo, occorre una rivoluzione culturale che consideri gli anziani una risorsa sociale, economica, ma soprattutto etica e di valori. La riforma prevista dal Pnrr si auspica offra speranza per gli anziani non autosufficienti, soprattutto nel valorizzare la continuità di cure domiciliari e la promozione di misure a favore dell’inclusione sociale sulla base di un Progetto assistenziale individualizzato (Pai).