L'iniziativa. Bandiere bianche di pace e corpi civili. «Si apra il negoziato»
Ragazzi in piazza per la pace a Roma nei mesi scorsi
Bandiere bianche di pace e diplomazia. Come si fa ad illuminare una Pasqua che mai come quest’anno si celebra nella cornice funesta dei venti di guerra? Non è soltanto il riecheggiare delle bombe a spaventare, ma è il linguaggio del corpo della politica che fa impressione. Questo rassegnarsi dell’Europa all’ineluttabilità del conflitto ai propri confini e un domani, si dice ai vertici continentali, magari pure dentro casa nostra, colpisce in verità soprattutto chi in questi anni si era distratto. Il popolo della pace no, l’aveva detto: «Dov’è la vittoria? Fermatevi».
Pensava all’Ucraina, a Gaza, in fondo a tutte le ottanta e più guerre che si combattono nel mondo. «In questa Pasqua vogliamo rilanciare l’impegno a lavorare insieme» dice Giuseppe Notarstefano, presidente di Azione cattolica. Ac, Acli, Agesci, Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi proprio in vista della giornata di Pasqua hanno sottoscritto un documento che dice tutto già nel titolo: “Si alzino le bandiere bianche”. «Non sono quelle della resa, ma della voglia di mettersi in gioco: se vuoi la pace, prepara la pace» sottolinea Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli.
Nel testo messo a punto dalle associazioni del mondo cattolico, si scrive che «la pace è l’urgenza del Risorto. La pace è la nostra priorità, oggi che la fraternità stessa è messa in discussione, come ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi al Consiglio permanente della Cei». L’esigenza condivisa è quella di non lasciare solo chi grida, apparentemente inascoltato, nel deserto creato dai missili. «L’invito di papa Francesco è un invito alla non violenza, ad andare oltre le soluzioni individuate con l’uso della forza – afferma Notarstefano -. È questo il modo più autentico di essere fedeli al Vangelo: amare i nostri nemici, un principio che va contro tutte le regole del mondo, di questo mondo. Serve una resistenza culturale alla guerra, mentre continua la corsa agli armamenti».
Nel frattempo, il terreno della diplomazia ha bisogno di strategie e strumenti nuovi per diventare davvero fertile e portare frutto. «È venuto il momento di fare sul serio, di tornare al negoziato – spiega Angelo Moretti, portavoce del Mean, il Movimento europeo di azione non violenta -. La violenza sembra essere diventato un programma elettorale globale. L’Unione Europea, in questo scenario, resta un faro con tutti i suoi limiti». L’obiettivo adesso è far crescere la sensibilizzazione, nel contesto dei Ventisette, sulla proposta dei corpi civili di pace, nell’ambito della futura difesa comune. Per farlo, si fa leva in particolare sui sindaci e sulle comunità locali, perché facciano pressione sul governo italiano.
L’ambizione, che al momento è assai difficile da realizzare, rimane quella di mettersi in mezzo, di creare spazi di cuscinetto tra i belligeranti, di valorizzare il peso della società civile che più e più volte si è fatta viva e presente in particolare nell’Europa dell’Est e in Medioriente, per far ragionare le parti.
Sullo sfondo, resta la partita importante del disarmo. «Come coordinamento di associazioni, già due anni fa rilanciammo l’idea di rafforzare l’impegno sul tema del disarmo nucleare - riprende Notarstefano -. Ci preoccupa molto, invece, chi nelle ultime settimane è tornato a parlare addirittura della necessità di un’economia di guerra, quasi che il conflitto fosse una prospettiva ineluttabile. Il sogno europeo deve rimanere un sogno di pace». Il mondo cattolico è ormai consapevole che «la corsa agli armamenti non porta da nessuna parte. Basta con chi mostra i muscoli, l’industria bellica fa affari a ritmo impressionante» spiega il presidente delle Acli.
Nel documento sottoscritto dalle associazioni del mondo cattolico, si sottolinea che, «come papa Francesco, siamo consapevoli che “per accogliere Dio e la sua pace non si può stare fermi, non si può stare comodi aspettando che le cose migliorino. Bisogna alzarsi, cogliere le occasioni di grazia, andare, rischiare. Bisogna rischiare”».
Per il presidente dell’Ac, «dobbiamo laicamente ricordare e ribadire che la nostra Costituzione ripudia la guerra e che la nostra Repubblica nacque in risposta all’orrore del secondo conflitto mondiale».
Per questo, c’è una grande questione democratica che si inserisce nel dibattito di questi mesi: saremo capaci di gestire i conflitti lavorando per la pace, senza cedere alle semplificazioni populiste e alle pulsioni sovraniste di tante moderne autocrazie? «La risposta è che innanzitutto occorre deporre le armi che sono dentro di noi, mantenendo alta la guardia contro il linguaggio d’odio che sta montando, non da oggi, dentro l’opinione pubblica» riflette Manfredonia.
«La violenza avvantaggia soltanto chi specula sulla morte. La democrazia è presidio non violento che ripudia la guerra» gli fa eco Notarstefano. Il vero disarmo, infine, nasce da cuori liberati dalla logica dell’egoismo e della prepotenza e in questo senso il Vangelo resta per i credenti punto di riferimento imprescindibile. «Questa Pasqua sia un’occasione di risurrezione per tutti, innanzitutto per i popoli oppressi. Quanto a noi, chiediamoci sempre cosa possiamo fare per portare pace dentro le nostre comunità. L’individualismo dilagante di questi tempi è il primo nemico da combattere per evitare che prevalga la violenza».