Certi dubbi, certe domande, sorgono così, sul filo tra sensazioni e numeri, mettendo insieme sguardi, messaggi, voci di corridoio. Perché Milano crolla più delle altre piazze? E cosa spiega l’«accanimento» su Mps? «Speculazione» è una parola che ha tante declinazioni: finanziarie, economiche, politiche. E Matteo Renzi ha sentito così tante volte, ai tempi del Nazareno, le spiegazioni che Berlusconi dava dei fatti del 2011, che qualcosa gli è rimasto dentro, almeno come avvertimento: il timore che l’Europa 'berlinocentrica' non perdoni prese di posizioni troppo forti e scostamenti eccessivi dalle regole del bilancio e del debito. «Siamo credibili sulle riforme e il sistema è solido, lo dice anche la Bce. E allora cosa sta succedendo?», chiede il premier a Padoan e a Bankitalia. Ma forse le risposte vanno cercato dentro e fuori i confini. «Angela è un’amica, un alleato affidabile. Però voglio delle risposte, voglio la garanzia che l’Italia e gli italiani siano tutelati dalla Ue...», è lo sfogo con cui il premier intervalla una giornata agrodolce, tra i numeri neri di Piazza Affari, lo spread che torna ad essere uno spauracchio e il trionfo in Senato sulla riforma costituzionale. Il clou della tensione è quando a Palazzo Chigi ci sono, uno di fronte all’altro, Renzi, Padoan, il governatore di Bankitalia Vi- sco e il direttore generale di Palazzo Koch Rossi. Al centro del tavolo il dossier Mps. La quarta banca italiana ormai acquisibile in saldo. Chi la vuole? E perché? L’assenza di risposte oggettive inquieta Renzi. E quando in serata Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’associazione dei bancari, dice a chiara voce «Sì, è un attacco all’Italia», in realtà esprime ciò che Renzi e Padoan non possono dire se non come lontane supposizioni. È tutto molto delicato. Nessuno è così 'italocentrico' da pensare che le tensioni tra Roma e Bruxelles (via Berlino) siano la causa principale dei crolli in Borsa. La Cina e il petrolio, e la generale caduta di tutti i listini e di tutti i titoli bancari a livello europeo, dimostrano che c’è qualcosa che va molto oltre. Ed è addirittura più allarmante. Ormai da giorni si vocifera di una revisione al ribasso di tutte le previsioni di crescita mondiale nel 2016. Significa che anche l’Italia potrebbe crescere meno del previsto, meno dell’1,5 per cento fissato nei documenti del Tesoro. Vorrebbe dire rivedere i conti, il deficit, le stime di riduzione del debito.«Non sottovalutiamo i nuovi scenari – ammette il premier – ma in nessun caso verremo meno agli impegni sulle tasse. Anzi, una nuova fase della crisi sarebbe l’ulteriore motivo per combattere contro l’austerity. Non arretriamo di un millimetro». Non abbassare la testa per paura delle tensioni finanziarie, ma alzarla ancora di più. Il 29 gennaio, a Berlino con la Cancelliera, quando Palazzo Chigi proporrà lo scambio tra i fondi alla Turchia anelati dalla Merkel e lo sblocco della clausola-immigrazione che serve a Roma. Ma in realtà già oggi, con un’offensiva mediatica che durerà l’intera giornata. Alle 9 la conferenza stampa sul Cdm di stanotte sulla pubblica amministrazione. Poi, forse, l’annuncio del rimpasto («Non sarà rinviato alle calende greche », assicura il premier). Quindi una mezza maratona da Bruno Vespa per parlare di tutto: banche, borse, Europa, riforme, Italicum, PA, unioni civili. È tempo di serrare i ranghi. Nel governo. Nella maggioranza. Nella comunicazione. Perché il passaggio è delicato e nel giro dei prossimi quindici giorni il premier sceglierà la strategia per il futuro. La conferma della navigazione fino al 2018 o la 'rottura' dello schema d’origine, con il referendum costituzionale usato come trampolino per un voto anticipato nella primavera 2017. L’incontro con Merkel sarà decisivo: se da lì verrà fuori un patto per una Ue 'amica' dell’Italia bene; altrimenti Renzi potrà seriamente pensare di provare a prendersi in anticipo quel mandato popolare che aumenti il suo peso nelle trattative.