Il documentario. Bambole e disegni. Le tracce dei bimbi migranti raccolte sulla neve
Alcune immagini dal docufilm “No borders. Flusso di cosicenza”
Un quaderno con parole vergate a mano e ripetute all’infinito. Una bambola di pezza caduta durante la fuga. I resti di un accampamento abbandonato di fretta. Ci sono anche i bambini nella rotta terrestre che in questi giorni deve misurarsi con le nevicate. La fuga tra i boschi lascia sui sentieri le tracce di una fanciullezza perduta.
Alcune immagini dal docufilm “No borders. Flusso di cosicenza” - .
Racconta di quei genitori che si ostinano a istruire i figli anche se una scuola non l’hanno mai frequentata. Indizi che raccontano un dramma che le carte bollate non sanno spiegare. Anche per questo il resista Mauro Caputo ha girato “No borders. Flusso di coscienza”, un documentario con il sapore della testimonianza lungo i 242 chilometro di confine tra Italia–Slovenia. «In realtà da noi stanno pochissimo – spiega Caputo – cercano di raggiungere Francia, Germania e Spagna che sono in genere le loro mete.
Alcune immagini dal docufilm “No borders. Flusso di cosicenza” - .
Da qui i dati sottostimati del loro afflusso. La stessa polizia non ha troppo interesse a fermarli, a controllarli più di tanto, perché sa che da noi sono solo di passaggio». Se fossero fermati, aggiunge Caputo, autore di una trilogia dedicata a Giorgio Pressburger, «occorrerebbero traduttori, avvocati, tutto un iter complicato. Nonostante questo, la popolazione di Trieste comincia ad essere sensibile al fenomeno». Le immagini del film, come l’iconico albero delle identità perdute, dai cui rami penzolano i tesserini plastificati con i nomi e i volti dei migranti che della propria identità non vogliono lasciare traccia, sperando proprio di scavalcare anche l’Italia, sono anche un monito ai posteri. I migranti ci sono, ma quasi non si vedono.
Alcune immagini dal docufilm “No borders. Flusso di cosicenza” - .
A parlare solo una voce fuori campo che segue le tracce nei boschi lasciate da questo esercito di invisibili pronti a distruggere ogni cosa del proprio passato pur di iniziare una nuova vita in Europa. «La maggior parte sono maschi adulti – dice Caputo– , meno donne e solo qualche bambino, anche se forse ultimamente ci sono più famiglie in fuga sulla rotta balcanica». Nel docufilm c’è una frase ricorrente: «Non si può fermare un fiume».