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La miseria nascosta. Bambini malnutriti nella Milano «bene»

Luciano Moia giovedì 21 dicembre 2017

(Ansa)

Bambini malnutriti, in condizioni di povertà, alle prese con uno stato di deprivazione che dalla sfera materiale si estende quasi sempre a quella affettiva, sociale, educativa. Non è un mistero che succeda anche in Italia e che questa povertà sia purtroppo in crescita. Secondo l’Istat i minori in povertà assoluta sono un milione e 292mila. Dal 2015 al 2016, c’è stato un incremento del 14%.

Dove sono questi bambini poveri? Facile pensare alle periferie più degradate, alle baraccopoli, ai campi nomadi. Meno scontato scoprire che anche nei quartieri centrali di una città come Milano si stia infiltrando silenziosamente una povertà tanto insospettabile quanto densa di interrogativi, paure, prospettive difficilmente definibili. Non si tratta dell’indigenza palese e disperata di chi tende la mano all’angolo della strada, ma di un bisogno che costringe anche famiglie italiane del cosiddetto ceto medio - secondo classificazioni che forse hanno ormai poco senso - a rivedere i conti della spesa alimentare, a diradare o talvolta a sospendere gli acquisti di prodotti di qualità, a impoverire la dieta. Con conseguenze talvolta pesanti, comunque facilmente identificabili, e ancora più preoccupanti a media e lunga scadenza sulla crescita psicofisica dei bambini. Appare quasi paradossale in un Paese come il nostro in cui si sprecano ogni anno 400 milioni di tonnellate di cibo e dove solo il 37% delle persone dichiara di non buttare mai nella spazzatura alimenti ancora utilizzabili. Anche per quanto riguarda i dati emersi, occorre dire che non c’è l’incubo della fame, ma il progressivo svuotamento delle qualità nutritive della dieta. Da qui la preoccupazione di misurare quanto abbiano inciso gli anni più pesanti della crisi economica (2008-2016) sulle capacità di acquisto di famiglie 'normali', con due figli tra i 5 e 10 anni, in cui i genitori sono o risultavano occupati all’inizio del 2016.

La ricerca condotta da Maria Luisa Di Pietro, medico, bioeticista e direttore del Center for Global Health Research and Studies della Cattolica di Roma, e promossa dall’istituto di antropologia per la cultura della persona e della famiglia di Milano, è nata così. «Abbiamo studiato il rapporto tra crisi economica, accesso al cibo e stato di salute dei bambini italiani con l’obiettivo di combattere le diseguaglianze con l’arma dell’epidemiologia».

Una ricerca su vasta scala, condotta in sei città italiane. Il primi risultati riguardano Milano, cioè proprio la città che almeno nell’immaginario collettivo dovrebbe essere al riparo dall’incubo della malnutrizione. O, almeno, dovrebbero esserlo le famiglie 'protette' dall’invisibile ma tranquillizzante barriera dei 'quartieri bene'. Invece non è così. Gli esperti - oltre a Maria Luisa Di Pietro, Chiara De Waure, Andrea Poscia, Aneta Sàdovska, Adele A.Teleman, Drieda Zace - hanno individuato, grazie alla collaborazione dei pediatri di base, un campione di circa 180 famiglie a cui è stato sottoposto un questionario statistico preso a prestito dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti che classifica il livello di malnutrizione secondo quattro parametri, 'alta sicurezza del livello di nutrizione', 'sicurezzamarginale', 'sicurezza bassa' e 'molto bassa'. I primi due parametri sono raggruppati nella categoria 'nutrizione sufficiente', i due rimanenti in quello di 'nutrizione insufficiente'. Proprio l’ambito nel quale, in base ai dati registrati, sono state classificate quasi il 10% delle famiglie. Sembrerebbe un dato non drammatico se dalla ricerca non emergesse un altro parametro tutt’altro che tranquillizzante. Quasi il 18% delle famiglie in condizione di 'nutrizione sufficiente' sono in realtà contrassegnata da un dato di 'sicurezza marginale', una situazione che può rischiare facilmente di sconfinare nella fascia più rischio al solo concretizzarsi di qualsiasi imprevisto (malattia, separazione, perdita del lavoro di uno solo dei due genitori). Ma quali sono le famiglie contrassegnate dalla qualifica di 'insicurezza nutrizionale' (food insicurity)?«Si tratta di famiglie i cui genitori hanno bassi titoli di studio - riprende la responsabile della ricerca - con redditi bassi ma comunque al di sopra della fascia di povertà relativa e che dichiarano di non riuscire a risparmiare».

Il fatto che nel cuore di Milano in tre famiglie italiane su dieci emergano situazioni di malnutrizione, pur con declinazioni diverse, non può che suscitare interrogativi sulle conseguenze dello stato di salute dei bambini. Nella ricerca si spiega che «più precocemente la povertà colpisce il processo di sviluppo e più dannosi e durevoli sono i suoi effetti nel corso degli anni». Per esempio il basso peso alla nascita determina risultati più bassi nelle prove per il quoziente intellettivo, ma aumenta anche la probabilità di depressione durante l’infanzia e nel corso della vita. In particolare, le carenze nutrizionali hanno conseguenze per quanto riguarda lo stato conoscitivo- funzionale, lo sviluppo del cervello, la sfera emotiva e comportamentale, l’asma e le malattie respiratorie, la salute dei denti. D’altra parte la malnutrizione infantile apre la strada contrariamente a quanti si pensi - all’obesità, mai sintomo di opulenza ma di dieta contrassegnata da un consumo preoccupante di junk food, cibo spazzatura, bevande dolci e gassate, alimenti con scarsi nutrienti e alto livello calorico, oltre che di scarso movimento.

Invertire questa tendenza non è solo una questione economica, ma anche educativa. La ripresa economica pur fondamentale - sempre che si realizzi su una base di equità - non basterà a dissolvere il rischio della malnutrizione infantile se scuola, istituzioni, associazioni non riusciranno a diffondere criteri educativi più razionali. Serve una cultura che non solo riesca a combattere lalogica dello spreco, ma che diffonda anche conoscenze sulle proprietà nutritive dei vari gruppi alimentari. «Ci può essere una cucina poverama salutare - osserva ancora Maria Luisa Di Pietro - e un’altra apparentemente ricca, costosa ma tutt’altro che benefica. E poi sarebbe necessario promuovere la presenza stabile di pediatri nelle scuole. Dati e ipotesi che dovrebbero farci riflettere. È in gioco il futuro dei nostri figli».