Droga. I bambini di Palermo continuano a finire in ospedale in overdose
Una recente operazione antidroga a Palermo, coinvolti anche baby pusher
I bambini di Palermo continuano a finire in ospedale a causa della droga. È di ieri la denuncia dell’ennesimo caso che ingrossa la drammatica statistica: almeno dieci sono stati gli episodi simili negli ultimi mesi. Un bimbo di appena diciotto mesi è stato ricoverato, per overdose, all’Ospedale dei Bambini. Questo, oltretutto, non è un frangente semplice per il nosocomio palermitano che attualmente è pieno di piccoli pazienti portati lì dal Covid, al ritmo di sei o sette ricoveri al giorno.
Sono state effettuate le analisi di prammatica che hanno riscontrato la presenza di cannabinoidi nell’organismo del piccolo di nemmeno due anni. Grazie alla prontezza dei medici, il protagonista di questa brutta storia sta bene ed è ricoverato in reparto con la mamma, dopo che, peraltro, è stata riscontrata la sua positività al coronavirus.
La Procura dei minorenni ha aperto un fascicolo e la polizia sta indagando per capire come sia stata possibile l’assunzione degli stupefacenti. Gli inquirenti hanno sentito i genitori che vivono in periferia nel capoluogo siciliano. Al momento, è opportuno essere prudenti perché tutti i particolari andranno chiariti con la massima precisione. L’ultimo episodio si era verificato appena due settimane fa, il 26 gennaio scorso, quando una bambina era stata accompagnata di corsa in ospedale per l’ingestione occasionale di hashish. La Procura per i minorenni indaga su decine di casi. Per sette è già partita una richiesta di affidamento alle comunità.
«Sta diventando una situazione indicibile e insostenibile – dice Cinzia Mantegna, assessora alle Attività sociali del Comune di Palermo –. Perché succede? Posso riferirmi alla situazione generale, in attesa di elementi più specifici. Può succedere per la poca attenzione di genitori, verosimilmente consumatori di droga, che espongono i bambini a un gravissimo rischio. Genitori che fanno uso di sostanze, che le maneggiano, che le assumono, con poche precauzioni. Succede perché, quando sei nella rete della dipendenza, il mondo circostante perde significato, non lo governi più».
L’assessora Mantegna è un tecnico, con lunghi e impegnativi anni da assistente sociale alle spalle. Conosce quel tipo di realtà. «Noi, quando si verificano avvenimenti del genere, cioè estremi, interveniamo in una fase successiva – spiega –. L’azione spetta, inizialmente, alla Procura e a chi indaga sul campo. Cerchiamo di mandare avanti molte attività in prevenzione, cerchiamo di stimolare l’ascolto in contesti problematici e di realizzare la cooperazione con tutte le istituzioni. Possiamo, purtroppo, confermare che lo smercio della droga è fiorente, che si punta sulla quantità, sull’allargamento del mercato, mantenendo i costi contenuti e dunque accessibili. Il resto lo fanno le fragilità delle famiglie che espongono i più piccoli a pericoli immani».
L’allarme è a un livello altissimo. Lo aveva lanciato nei mesi scorsi il dottore Salvatore Requirez, direttore sanitario dell’ospedale Civico, riguardo proprio al contesto. «Questi episodi sono la spia di un degrado sociale inquietante. Ci dicono che la tensione endogena dei familiari orientata al privilegiato consumo di stupefacenti ha pericolosamente abbassato, se non addirittura annullato, il grado di consapevole percezione. Un quadro ancor più preoccupante se si pensa che parliamo solo dei fenomeni che hanno superato una certa soglia clinica di sofferenza tanto da giungere in ospedale e che rappresentano una parte del sommerso che quotidianamente sfugge all’attenzione sanitaria». Significa che quello che si vede provoca già ansia e amarezza in quantità. Ma quello che non si vede potrebbe essere ancora peggio.