Attualità

LA PROLUSIONE. Bagnasco: vicini a chi fugge dalla guerra e grati alla popolazione di Lampedusa

Mimmo Muolo martedì 29 marzo 2011
È l’ora di una «consapevole solidarietà». La frase chiave della prolusione con cui ieri pomeriggio il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto la sessione primaverile del Consiglio permanente della Cei è diretta soprattutto all’Italia, ma può essere presa legittimamente a prestito come criterio interpretativo di tutto il discorso del presidente della Cei (che Avvenire pubblica integralmente) e delle problematiche interne e internazionali che affronta.Solidarietà intergenerazionale e sociale, soprattutto: il cardinale ricorda a tal proposito il ruolo educativo della scuola, «di tutta la scuola», e quello di «architrave portante del futuro» che spetta alla famiglia. Ma richiama la stessa necessità, allargandola a tutto il vecchio continente, anche nei confronti di chi fugge dalla povertà e dalla guerra. «L’emergenza profughi è comunitaria», afferma il porporato, che esprime ammirazione per gli abitanti di Lampedusa e chiede di non lasciarli soli in un simile frangente. Anche perché «i confini costieri dell’Italia coincidono con quelli meridionali dell’Europa» ed è «un’illusione riuscire a piantonare le coste di un continente intero». Invece bisogna «attuare quelle politiche di vera cooperazione che sole possono convincere i nostri fratelli a restare nella loro terra, rendendola produttiva».Solidarietà, infine, nei confronti dei cristiani perseguitati nel mondo e degli ultimi della nostra società, con particolare riferimento a clochard e rom, che non possono essere percepiti, dice Bagnasco, «come uno scarto razziale dell’evoluta Europa».Il cardinale tocca anche il tema sensibile della legge sul fine vita (definita «necessaria e urgente») e pone la sua riflessione sullo sfondo delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Ricorda i «tanti talenti elargiti alla Nazione» nel corso della sua storia e fa notare che, se l’Italia di oggi vuole essere all’altezza di questa storia, deve far tesoro dei suoi valori autentici, a cominciare proprio da quella «consapevole solidarietà». La Chiesa, promette, farà la sua parte («ci piace pensare alle nostre parrocchie come palestre dello Spirito», non come a luoghi burocratici di incontro). Anzi, sottolinea, nella Messa del 17 marzo «abbiamo rinnovato l’impegno a servire l’Italia, e ad amarla nel disinteresse di parte e secondo l’esclusiva ottica del bene comune». Amarla, aggiunge il porporato, «ridestando l’attenzione verso i capisaldi della sua cultura, chinandoci specialmente sugli abitanti più deboli e sulle fasce di popolazione più bisognosa, e dedicando ancora le energie migliori a quel compito dell’educare che è trasmissione di vita e di visione».In sostanza, «se vuole un suo domani», l’Italia deve «fronteggiare le derive dell’individualismo più esasperato e radicale». Questo individualismo «una volta entrato in commistione con la spinta narcisistica, non può non contorcersi in una versione anti-sociale». Perciò il cardinale mette nuovamente in guardia dal pericolo della «rarefazione demografica» e rilancia la scuola e la famiglia. «La scuola, tutta la scuola – sottolinea – ha nell’ambito formativo un ruolo non surrogabile. Essa infatti non può limitarsi a riprodurre al proprio interno i tratti del clima culturale più diffuso, acconsentendo magari alle derive del tecnicismo didattico o alle lusinghe del potente mercato di verità solo relative». Il carattere pubblico che la connota «non ne pregiudica l’apertura alla trascendenza e non impone una neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di ogni autentica formazione delle persone». Dunque il cardinale auspica «un’alleanza educativa tra quanti, affiancando i genitori, si spendono per la crescita intellettuale, morale e umana delle nuove generazioni».Anche la famiglia è determinante per il futuro del Paese, che non deve perdere la fiducia in se stesso né cedere alla «lettura a tratti depressiva» di certo sensazionalismo dei media, secondo cui si potrebbe giungere addirittura a «un cedimento strutturale della casa comune». «Il bene esiste», ricorda Bagnasco. Esiste «un quadro di valori sostanziali», tra i quali, appunto, la famiglia. «È auspicabile – afferma il cardinale – che, fatto salvo il rispetto per la libertà personale, nessuno nell’ambito pubblico provveda a decisioni che mettano in ombra l’istituto familiare, architrave portante di ogni realistico futuro».Di qui lo sguardo complessivo alla situazione del Paese che sfocia in una constatazione, quasi in un appello: «L’Italia ha un estremo bisogno di ricomporsi, radunando le proprie energie migliori, per metterle tutte in circolo e produrre un passo in avanti, fuori dagli immobilismi come dai proclami apodittici». In altri termini «c’è bisogno di una riflessione partecipata» a partire «dai dati della realtà», al fine di darsi le priorità. Perciò Bagnasco invoca «concretezza» e indica «la sola medicina capace di guarire alle radici: la vita, la sua cura e la sua promozione».In merito, il porporato parla della legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita. Normativa «necessaria e urgente», anche per «porre limiti e vincoli precisi a quella "giurisprudenza creativa" che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno». «Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua». Per questo Bagnasco chiede «regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani – nel contesto di una società materialista e individualista – risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste». E anche questa è una scelta di consapevole solidarietà.