La fiducia passa ma l'amarezza per "certe sceneggiate" che gli italiani non vorrebbero più vedere nei palazzi della politica resta. ll giorno dopo il via libera in Senato alla riforma del lavoro il premier Matteo Renzi non nasconde la sua soddisfazione per l'esito del voto. "Stanotte in Senato è andata molto bene. Mi sembra che stia crescendo il sostegno al Governo. Il margine è molto forte: 165 a 111. Sono
molto contento del risultato numerico". Certo lo show andato in scena nell'aula di Palazzo Madama non è quello di un paese civile. "Gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni senatori" sottolinea Renzi parlando di "amarezza perché i lanci di libri" contro la presidenza "sono immagini tristi per i
cittadini che si domandano che senso abbia". "Noi andiamo avanti", ribadisce il premier che si è espresso anche sul caso Tocci, il senatore dissidente che ha annunciato le dimissioni del Pd, auspicando un suo passo indietro. "Farò di tutto perché Walter Tocci,
che è una persona che stimo molto, continui a fare il senatore".
LE REAZIONI. "Non è una riforma del mercato del
lavoro, è semplicemente un intervento normativo che piace a
Draghi e alla Merkel". Così da Napoli, il vice presidente della
Camera,
Luigi Di Maio del M5S boccia la riforma del governo Renzi. E sulla bagarre in aula spiega di essere tra quelli che si indigano ma anche che le proteste sono nate spontaneamente, senza nessuna regia. Assai duro il giudizio di Fi con il capogruppo alla Camera
Renato Brunetta che parla di un passo avanti verso il baratro visto il Jobs Act "riduce la mobilità e genera ulteriore balcanizzazione del mercato del lavoro". Plaude invece alla riforma
Angelino Alfano, ministro dell'Interno e leader del Ncd che condivide la teoria del passo avanti: "l'Italia fa un
passo avanti verso un mercato del lavoro più moderno che ha come
obiettivo quello di affrontare la grande sfida della
disoccupazione". La situazione più delicata ovviamente è all'interno del Pd, dilaniato dal malcontento della minoranza che non esclude la possibilità di altri casi Tocci. "Ha vinto Renzi il Parlamento non conta più" sentenzia
Corradino Mineo, uno dei tre senatori dissidenti (insieme a
Casson e Ricchiuti) che non hanno partecipato al voto di fiducia. Il loro comportamento adesso sarà messo al vaglio del gruppo e della direzione Pd come ha spiegato
Lorenzo Guerini. Chiedono un cambio di passo, con una discussione vera alla Camera e la possibilità di votare mendamenti
Stefano Fassina e Cesare Damiano. Mentre
Pippo Civati bolla la riforma del lavoro come "una misura di destra" e a chi gli chiede se ci sarà una scissione spiega: se non la farò io la farà qualcun'altro.
LA GIORNATA DI IERI Urla, risse, senatori in piedi sui
banchi, lancio di libri contro la presidenza. L'opposizione
trasforma il Senato in un campo di battaglia, per provare a
bloccare il cammino del Jobs act. E riesce a impedire che il
voto di fiducia sulla riforma (che poi arriva nella notte con 165
sì, 111 no e due astensioni) arrivi in contemporanea con il
vertice europeo che Matteo Renzi presiede a Milano. Ma non
impedirà al governo di raggiungere il suo obiettivo. E così è con una fiducia piena votata a
notte fonda, mentre i senatori della minoranza del Pd annunciano
battaglia alla Camera per modificare il testo.
È dall'inizio molto nervosa, la giornata al Senato. Ed è
subito caos quando intorno all'ora di pranzo il ministro
Giuliano Poletti prende la parola in Aula per illustrare il
maxiemendamento del governo che modifica e sostituisce il testo
della delega sul lavoro. L'emendamento rinvia ai decreti
delegati l'intervento più delicato, quello sui licenziamenti. Ma
l'articolo 18 è parte integrante della riforma, sottolineano in
mattinata da Palazzo Chigi. E per superare la disciplina attuale
il governo chiederà la fiducia sul provvedimento.
In Aula Poletti dovrebbe illustrare, tra gli altri, proprio
quel punto: come il governo si impegna a modificare l'articolo
18 nei decreti delegati. Ma non riesce a farlo. "Andate a casa",
urlano i senatori 5 Stelle, coprendo con le urla le parole del
ministro. E il capogruppo grillino
Vito Petrocelli deposita 50
centesimi sui banchi del governo: "Un'elemosina", spiega. Il
gesto fa andare su tutte le furie il presidente
Pietro Grasso,
che espelle Petrocelli e sospende la seduta. Il caos continua, i
grillini oppongono resistenza, poi si quietano. Ma intanto
impediscono a Poletti di terminare a voce il suo intervento, che
deve mettere agli atti consegnando una copia scritta.
A Milano è in corso nelle stesse ore un corteo contro il
vertice Ue sul lavoro: "Siamo pronti a occupare le fabbriche",
ribadisce il segretario della Fiom Maurizio Landini. Ma Renzi,
giunto in città per una conferenza fortemente voluta con i
leader europei, sfida gli oppositori: "Possono contestarci, ma
il Paese lo cambiamo". Il maxiemendamento che giunge a Palazzo
Madama ("Solo alle 16.32", denuncia battagliero
Paolo Romani,
capogruppo FI) riforma il mercato del lavoro con interventi come
gli sgravi sulle nuove assunzioni, la riduzione delle forme
contrattuali, i nuovi ammortizzatori sociali. È il "passo
importante" per il quale anche Angela Merkel si congratula con
Renzi. Il governo e la maggioranza dunque non cedono alle
proteste delle opposizioni e confermano il proposito di votare
la fiducia in giornata, anche a costo di fare nottata.
"Sono stati fatti passi avanti ma non basta", proclama una
ricompattata minoranza Pd. Ma poiché la critica è sulla riforma
del lavoro e non si intende rischiare di far cadere il governo,
i ribellI annunciano che voteranno sì alla fiducia ma
proseguiranno la battaglia per le modifiche alla delega alla
Camera. E mettono agli atti un documento con in calce le firme
di 35 parlamentari della minoranza dem. Lo strappo è troppo
grave, per il civatiano
Walter Tocci, che si presenta al
capogruppo
Luigi Zanda e annuncia: "Voto sì ma poi mi dimetto da
senatore". Annuncio che poi confermerà in aula mentre circolano
voci anche sulla defezione di Corradino Mineo.
In Aula i partiti di opposizione, dal M5S, alla Lega, al Sel,
a una battagliera FI, fanno ostruzionismo sul calendario dei
lavori per provare a impedire che la fiducia venga votata in
giornata, come vuole il governo. E quando Grasso, dopo aver
ascoltato decine di interventi, impone una stretta mettendo ai
voti l'ordine dei lavori, il capogruppo della Lega
Gianmarco
Centinaio gli scaglia contro un librone contenente il
regolamento del Senato, i grillini urlano "Non si può" e salgono
in piedi sui banchi del governo. Nell'emiciclo torna il caos e
scoppia la rissa anche tra Sel e Pd:
Loredana De Petris e
Roberto Cociancich vengono alle mani, separati dai commessi.
Ma il governo e la maggioranza vanno avanti. Il voto di
fiducia arriva ma solo con l'inizio del nuovo giorno.