La riforma. Autonomia differenziata, Mattarella promulga la legge senza osservazioni
Mattarella ha firmato la legge sull'autonomia differenziata
Il vaglio preventivo di costituzionalità è stato superato, la legge sull’autonomia regionale differenziata non presenta manifesti profili di illegittimità rispetto alla Carta fondamentale: nel tardo pomeriggio di ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la normativa, che entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Si tratta di norme soltanto procedurali - si fa notare - che non effettuano alcun trasferimento di funzioni, i quali potranno avvenire solo dopo intese tra Stato e Regioni da approvare con altre leggi.
Molto si era parlato, nei giorni scorsi, dell’esame del provvedimento («Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione») da parte del Quirinale, approvata in via definitiva il 19 giugno a Montecitorio. Era filtrato che il Colle si sarebbe preso «tutto il tempo necessario» per esaminare il testo, alla luce anche dei precedenti legislativi, ovvero la riforma del Titolo V della Costituzione operata a maggioranza dal centrosinistra nel 2001 e la cosiddetta devolution del centrodestra, bocciata al referendum confermativo del 2006.
Era stato subito chiaro, comunque, che Mattarella non avrebbe rinviato la legge alle Camere per un nuovo esame (come chiedeva il Movimento 5 stelle), prerogativa che gli ultimi quattro presidenti della Repubblica (Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella) hanno esercitato complessivamente 12 volte, ma l’attuale inquilino del Quirinale una soltanto, per la legge in materia di mine antiuomo.
Non si era escluso, invece, che Mattarella potesse accompagnare la promulgazione con un messaggio motivato alle Camere (come quelli che talvolta negli ultimi anni hanno accompagnato decreti legge dell’esecutivo di turno) contenente appunti o indicazioni nel merito. Ma così non è andata, il capo dello Stato ha ritenuto di promulgare la cosiddetta legge Calderoli senza osservazioni per i motivi sopra citati.
In proposito, tuttavia, rimane il nodo dei Livelli essenziali di prestazione (Lep) sull’intero territorio nazionale: per 14 delle 23 materie “richiedibili” dalle Regioni allo Stato, infatti, le intese potranno essere sottoscritte solamente dopo la definizione dei Lep, livelli sotto i quali non si potrà andare e che dovranno essere stabiliti dal governo entro 24 mesi dall’approvazione della legge. Due giorni fa, per rispondere alle accuse delle opposizioni di “spaccare” l’Italia con questa riforma, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva parlato di un percorso «che si andrà a definire nei prossimi anni», assicurando: «I Lep sono finanziati dallo Stato e nessuna regione può violarli o prevedere condizioni peggiorative [...] Non si parla di togliere ad una regione per dare ad un’altra ma di togliere dallo Stato per dare alle regioni virtuose sia che esse siano al Nord che al Sud».
Argomenti che non bastano alle opposizioni, che già si preparano alla battaglia referendaria per abrogare la riforma. Per la segretaria del Pd Elly Schlein i numeri ci saranno e le elezioni europee e comunali appena tenute, che hanno visto il centrodestra indietreggiare nel Meridione, sarebbero soltanto un preavviso. Ma per ora, commenta il leader dei 5 stelle Giuseppe Conte, «Meloni realizza il sogno secessionista di Bossi».