Riforma. Ecco come procede il cammino dell'Autonomia. Calderoli: «Decide la politica»
Il ministro degli Affari Regionali, Roberto Calderoli
Sarà la politica a decidere sui Livelli essenziali delle prestazioni, non il Comitato tecnico dedicato (Clep), e lo farà con un «atto primario, ancorché una delega con successivo decreto legislativo». Roberto Calderoli prova a mettere fine alla polemica sollevata dalle opposizioni, preoccupate per le indiscrezioni di stampa che attribuiscono al Clep un potere decisionale ben al di là di quello immaginato con la sua istituzione.
Il ministro per gli Affari regionali è intervenuto mercoledì mattina in audizione davanti alla commissione Federalismo fiscale, precisando che non esiste alcun documento del sottogruppo dei 12 esperti del Clep da sottoporre all’approvazione del Comitato stesso. Che piuttosto si limiterà a illustrare «una procedura per la classificazione delle ipotesi Lep, funzionale al successivo compito della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (Ctfs)», in modo tale da «garantire l'equilibrio tra fabbisogni standard e reali disponibilità finanziarie».
Il ruolo del sottogruppo, che ieri si è riunito nella sua composizione plenaria, non andrà quindi oltre «l’analisi tecnica sui diversi approcci per la determinazione dei costi e fabbisogni standard», ha continuato Calderoli, convinto che procedendo in questo modo nell’assegnazione delle risorse verrà superato «il vecchio criterio della spesa storica», un parametro a suo avviso non più adatto a tutelare l’accesso ai diritti da parte dei cittadini. Peraltro, la stima dei fabbisogni e dei costi non è ancora avvenuta, ha precisato ancora l’ex presidente del Senato, «perché non è stato definito un livello essenziale e minimo delle prestazioni da garantire».
E in ogni caso il governo porterà avanti «in maniera coordinata l’attuazione del federalismo fiscale, dei livelli essenziali e del regionalismo differenziato». Calderoli non ha però opposto la stessa resistenza rispetto all’altra critica arrivata dal centrosinistra, quella relativa alla diversificazione dei finanziamenti alle Regioni per i fabbisogni standard in base a parametri da molti giudicati inadatti» (il costo della vita o la demografia): «Sarebbe bastata la lettura del decreto legge 2010 – ha scandito – ad esempio l'articolo 5 per il riferimento delle caratteristiche territoriali, per evitare l'inutile polverone sollevato». Su questo neanche il presidente del Clep, Sabino Cassese, ha commentato, ma il suo silenzio è sufficiente ad alimentare l’ipotesi che l’opzione “gabbie salariali” sia tutt’altro che esclusa. Forse il ministro ha inteso placare anche i timori di Forza Italia, in imbarazzo dopo le esternazioni dei suoi governatori contro l’autonomia e decisa a ottenere garanzie sui Lep prima di concedere il benestare alle intese tra Stato e Regioni.
Ma in realtà Calderoli non è apparso particolarmente preoccupato di questo e anzi ha fatto sapere che per quanto riguarda le materie non Lep «quattro Regioni (Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto) hanno già presentato richiesta di avvio dei negoziati ed è stato avviato il procedimento. Di sicuro il titolare degli Affari regionali non ha convinto le opposizioni, che hanno chiesto e ottenuto di ascoltare anche Cassese, benché la data della sua audizione non sia stata ancora fissata. «È aberrante la scelta di calcolare i fabbisogni standard sulla base delle caratteristiche dei territori, del clima e del costo della vita, criterio che ovviamente penalizzerebbe il Sud», ha osservato la senatrice M5s Vincenza Aloisio, delusa dall’atteggiamento del ministro che avrebbe riso di fronte alle sue domande evitando di rispondere.
Oggi, intanto, il comitato per l'abrogazione dell’autonomia differenziata consegnerà in Cassazione le firme raccolte per il referendum, oltre un milione secondo i promotori. «Una risposta popolare» di cui la segretaria del Pd Elly Schlein si è detta «estremamente felice », ma sulla quale si è espresso anche lo stesso Calderoli, giudicando preventivamente il quesito come «inammissibile» e potenzialmente in grado «di spaccare il Paese». Troppo per il presidente dei senatori democratici, Francesco Boccia, che ha chiesto rispetto «per le centinaia di firme dei cittadini che hanno promosso il referendum», attaccando a testa bassa il ministro: « È senza vergogna. Un giudizio simile spetta agli organi costituzionali».