Un paio di anni si fa si profilava il cammino per una piccola rivoluzione. Oggi la strada sul fronte dell’autismo è ancora tutta da battere. Il Tavolo tecnico istituito dal Ministero della salute dopo anni di battaglie dell’associazionismo, che mirava ad un’intesa Stato-Regioni su linee di indirizzo per terapie, interventi, diagnostica, si è chiuso per ragioni organizzative avendo prodotto un documento rimasto però nel cassetto. Le iniziative politiche, secondo quanto denunciato da organizzazioni ed esperti di settore, sono ad oggi ferme. Le famiglie italiane con un figlio autistico restano dunque ancora una volta a barcamenarsi come possono, in solitudine, gravate dall’eterna ricerca di centri specialistici (l’ultimo è nato a Roma presso l’ospedale Bambino Gesù) presso i quali trovare terapie riabilitative adeguate e continuative per il proprio figlio. Le strutture sanitarie sono sparse a macchia di leopardo sul territorio, «dove le macchie – precisa Liana Baroni, presidente dell’Associazione nazionale genitori soggetti autistici (Angsa) – sono sempre molto poche» e dove protocolli diagnostici e strategie di intervento non hanno ancora prassi condivise. L’autismo è una malattia non guaribile, ancora parzialmente oscura e colpisce secondo le stime prudenti dell’Oms 1 bambino su 166. La sindrome, per la quale solo nel 5-10 % dei casi si riconosce una causa di tipo genetico, compromette la capacità di relazione sociale, di comunicazione e di ricezione della realtà esterna, negando al malato rapporti umani equilibrati e, dunque, una naturale vita affettiva. Caratterizzata da vari livelli di gravità, è stata riconosciuta solo di recente, portando anche ad un innegabile miglioramento di qualità e tempistica di diagnosi sulla quale resta ancora molto da fare: «Se dieci anni fa la diagnosi arrivava dopo i tre anni – aggiunge la Baroni –, oggi la si riconosce anche a due anni o al massimo due anni e mezzo. Un passo in avanti, certo, ma che non consente ancora alle famiglie di poter realizzare un percorso riabilitativo davvero efficace, che è tale solo se iniziato in tenerissima età, 6 mesi, un anno al massimo». Altri nodi da sciogliere per le famiglie, la continuità di una riabilitazione che coinvolga tutta la vita del bambino, la presa in carico degli autistici adulti, e soprattutto il tanto invocato Registro nazionale dei malati. Uno strumento fondamentale, secondo il dottor Franco Nardocci, presidente della Società italiana psichiatria (Sip), nonché ex ordinatore del Tavolo tecnico: «Senza l’esatta registrazione e dimensione dell’epidemiologia della malattia, non si possono programmare finanziamenti, interventi mirati e nemmeno politiche correttive». Iniziative a favore dell’autismo, sono state messe in piedi a livello regionale, lì dove la buona volontà non è mai mancata: «Marche, Emilia Romagna, Toscana, Sicilia, sono regioni che si sono sempre mosse bene e continuano a farlo con finanziamenti e progetti – prosegue Nardocci –. Ma ci sono quelle che continuano a restare ferme». Sul fronte istituzionale, tuttavia, le buone notizie non mancano: «La vera novità sta nell’utilizzo di parte del finanziamento per il programma di ricerca strategico nazionale del 2007 da parte dell’Istituto superiore di sanità, che è entrato su questo tema con forza e sta facendo studi sul carico della famiglia e sui trattamenti pediatrici». Ricerche sulle quali l’ISS con ogni probabilità darà conto nel prossimo a Catania quasi in concomitanza del IX Congresso Internazionale Autismo-Europa che si svolgerà l’ 8-10 ottobre 2010.