Attualità

Il caso. «Attanasio temeva di essere spiato». Le verità nascoste dietro l’agguato

Marco Birolini sabato 12 ottobre 2024

L'ambasciatore Luca Attanasio

Prima di essere assassinato l’ambasciatore Luca Attanasio si sentiva spiato. Una verità nascosta che emerge dalle carte dell’inchiesta sui funzionari del Pam, naufragata in tribunale di fronte all’immunità diplomatica opposta dall’organismo dell’Onu.

È il 6 marzo 2021, un paio di settimane dopo l’agguato in Nord Kivu costato la vita al diplomatico, al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo. Negli uffici dell’ambasciata italiana in Congo, a Kinshasa, gli uomini del Ros sentono come persona informata dei fatti il loro collega Luigi Arilli, caposcorta di Attanasio. Quando il colloquio si sofferma sui dispositivi elettronici in uso al diplomatico, il carabiniere rivela un dettaglio sconcertante, finora mai emerso, che Avvenire è in grado di rivelare: «Parlando con l’ambasciatore in macchina, qualche volta ci ha riferito, a me e Iacovacci, di avere il sospetto che il suo iPhone fosse intercettato, perché si scaricava velocemente. Questo lo ha ripetuto due o tre volte».

Un sospetto preciso e ricorrente, dunque. Certamente non buttato lì a caso. Perché in quel momento Attanasio confida ai suoi carabinieri un timore che non aveva rivelato nemmeno ai familiari più stretti. Non alla moglie, non al padre Salvatore. Verosimilmente, per non farli preoccupare. Non si sa se l’ambasciatore avesse comunicato anche ad altri il suo sospetto, che evidentemente riteneva fondato. Un alto diplomatico non è facilmente suggestionabile, né tantomeno un complottista. Piuttosto, il ruolo gli impone di esser preparato ad affrontare qualsiasi scenario e situazione, grazie anche alle informative che riceve dall’Aise.

Chi, e soprattutto perché, si sarebbe permesso di intercettare l’ambasciatore italiano in Congo? Le preoccupazioni sembrano accompagnare Attanasio in quell’inizio 2021. Aveva infatti chiesto a Iacovacci di consigliargli un’agenzia di sicurezza privata italiana cui rivolgersi, non si sa per quale motivo. E anche nel suo viaggio in Nord Kivu era come se si sentisse seguito a distanza. «Iacovacci mi ha chiamato una volta con il telefono satellitare, al suo arrivo a Goma il 19 – racconta ancora Arilli -. Poi credo che l’ambasciatore gli abbia detto di non utilizzare il satellitare, se non per emergenza». Va specificato che il satellitare usa tecnologia Gps che permette di localizzare l’utente con un margine di errore inferiore ai 5 metri. Anche per questo è utilizzato da alpinisti e militari. In spazi aperti e remoti, al contrario, lo smartphone fornisce una posizione meno precisa. Per questo Attanasio vietò al suo carabiniere di scorta l’utilizzo del satellitare durante la missione?

Leggendo le carte, si ricava l’impressione che la meta e lo scopo del viaggio del 22, da Goma a Rutshuru, non fossero noti proprio a tutti. Non ne era a conoscenza ad esempio Alfredo Russo, capo cancelleria dell’ambasciata. Qualche settimana prima, Attanasio anticipa a Russo che si recheranno a Goma e Bukavu, per incontrare la comunità locale e per conoscere le attività del Pam in loco. Tre giorni prima della partenza da Kinshasa, però, Attanasio avvisa Russo che si sarebbero fermati a Goma un giorno in più, senza precisare perché. La mattina del 22, quarto e ultimo giorno della trasferta, Attanasio dice a Russo che sta andando a «visitare alcuni villaggi per poi relazionare a Roma e chiedere sostegno a un progetto di cooperazione», e gli chiede di accompagnarlo. Ma Russo declina, perché ha già altri impegni a Goma. I due si salutano, ma verso le 10 arriva la telefonata che comunica l’avvenuto attacco. Sarà proprio Russo a riconoscere il corpo di Attanasio, sul quale noterà «3 o 4 fori», nonché la fede nuziale e una collanina, che si farà consegnare. Il 5 marzo 2021, il funzionario dirà ai carabinieri del Ros: «Non sono a conoscenza né del percorso che ha fatto né di chi ha incontrato». Secondo la compagna di Iacovacci, quel lunedì doveva essere poco impegnativo, invece all’ultimo momento «si erano aggiunti altri quattro impegni», talmente imprevisti da non essere segnati nell’agenda elettronica di Attanasio.

Proprio l’agenda, condivisa tra Attanasio, i due carabinieri e il segretario personale dell’ambasciatore, è al centro di un giallo. Il carabiniere Arilli racconta che qualcuno l’avrebbe manomessa: «Cinque giorni dopo la morte dell’ambasciatore è arrivata una notifica relativa alla cancellazione dell’impegno relativo al viaggio Goma-Rutshuru del 22 da parte di Iacovacci (dal telefono del carabiniere ucciso, ndr). La notifica mi è arrivata intorno a mezzanotte e l’una del 27». Arilli dice di essere rimasto «ovviamente sorpreso». Anche perché più tardi nota che «l’appuntamento risultava reinserito, anche se io non ho avevo ricevuto nessuna notifica». Chi è intervenuto sull’agenda condivisa, provando maldestramente a cancellare la destinazione di Attanasio? Un mistero cui se ne aggiunge un altro. L’iWatch che Attanasio portava al polso non viene restituito nell’immediatezza alla moglie. Solo alcuni giorni dopo, il 28 febbraio, il padre Salvatore riceve una chiamata da un funzionario dell’ambasciata, che gli comunica di avere lui l’orologio. In teoria, anche dall’iWatch, sincronizzato con iPad e iPhone, era possibile apportare variazioni all’agenda.

Ma le sorprese non sono finite. Lo stesso Arilli, il 22 marzo, denuncia al Ros di aver rilevato un tentativo di collegarsi al suo account da parte di ignoti. Un’intrusione effettuata dalla prefettura di Kigali, in Rwanda, partita da un iPhone 4S di sua proprietà, prestato a Iacovacci prima della partenza per Goma «per esigenze private e di lavoro».

Dunque, dopo l’attacco qualcuno si sarebbe impossessato dello smartphone “condiviso” dai due carabinieri, per poi riaccenderlo, esattamente un mese dopo, alle 12.30 (ora italiana) nello stato confinante. Ma appena 3 ore più tardi, quando il Ros chiede ad Arilli se riesce a localizzare lo smartphone, lui risponde: «L’applicazione mi dice che il dispositivo si trova nella città di Bukavu, e che è sotto carica». Cioè è “rientrato” in Congo nelle tasche del suo misterioso utilizzatore, e si trova a più di 200 km dalle “Trois antènnes”, il luogo dell’agguato. Un vero rompicapo. Non solo Attanasio si sentiva spiato, ma qualcuno dopo la sua morte gli ha frugato negli appunti elettronici, tentando anche di introdursi nei profili personali dei suoi carabinieri. Falle nel sistema che potrebbero aver favorito l’assalto. «Le dinamiche dell’evento fanno supporre la conoscenza, da parte degli assalitori, del passaggio del convoglio lungo la viaria N2» conclude l’Aise poche ore dopo l’agguato. Chi avvisò i killer?