Il fatto dell'anno. 1994 - L'atroce genocidio dei tutsi. L'odio insanguina il Ruanda
La terribile strage del Ruanda, una giovane cerca i corpi dei propri congiunti (Ansa)
La beffa atroce, quell’8 aprile 1994 – oggi possiamo dirlo – si affaccia in prima pagina. D’apertura, in alto, l’incontro di Giovanni Paolo II con il presidente Scalfaro e il rabbino Toaff. Titolo: «Mai più olocausti». Di taglio, in basso, una notizia dall’Africa: «Ruanda, caos di morte. Decapitato il governo». Notizie del genere sono frequenti, siamo quasi assuefatti, anche se il duplice omicidio di due capi di Stato è raro. Ma sono due Stati piccoli… «Dopo l’attentato ai presidenti di Ruanda e Burundi, uccisi da un missile che ha abbattuto l’aereo sul quale viaggiavano, Kigali (capitale del Ruanda, ndr) è preda di bande di irregolari che hanno massacrato decine di civili e 17 preti ruandesi».
Mai più olocausti… Chi può immaginare che proprio in quel momento comincia uno dei più atroci olocausti del secolo, con un milione di persone massacrate in poche settimane e milioni di profughi, in un Paese di appena 8 milioni di abitanti? A pagina 15 («Ribellione a colpi di machete») la fonte principale è l’agenzia di stampa dei Padri Bianchi: «Soldati d’ogni genere razziano e uccidono, bande di giovani li affiancano e colpiscono alla cieca con machete, bastoni, coltelli e sono spuntate anche armi automatiche, fucili e mitragliatrici».
Il giorno dopo, 9 aprile, il primo commento è affidato a Piero Gheddo, che non sembra dare troppo peso all’odio tribale tra hutu e tutsi: «Una polveriera. Lotte tribali, governi inefficienti e corrotti, miseria crescente e disfacimento delle strutture statali (…). La stampa occidentale attribuisce i massacri in Ruanda e Burundi all’odio razziale. Indubbiamente c’è anche questa causa, ma la sola chiave tribale non è sufficiente (…). In questi giorni, ad esempio, a Kigali non si uccidono tra hutu e tutsi, ma tra hutu e hutu: cioè una fazione dell’etnia dominante contro l’altra fazione». La conclusione di Gheddo: «In pratica oggi la lotta e i massacri avvengono principalmente per motivi politici interni, non per antichi odi tribali». I tutsi sono minoranza. Ma sono anche la quasi totalità dei funzionari pubblici e nella polizia. Sono la totalità dei vescovi, e pochi sopravvivranno. Alessandro Zaccuri ripercorre la storia dell’area geografica, fin dalla migrazione, nel XIII secolo, dei pastori e guerrieri tutsi dalla valle del Nilo.
La verità è che fin da quelle prime ore ci sono le elementi per concludere che sta scoppiando una tragedia immane. Corrado Sellaroli da Bruxelles riferisce le parole di un missionario: «Il Ruanda in questi giorni è cento volte peggio della Sarajevo dei momenti peggiori, solo che non ci sono centinaia di giornalisti per mostrarla al mondo». Il paragone non è banale. In quei giorni le prime pagine sono per la ex Jugoslavia dove si consuma una tragedia più vicina a noi. E no, non ci sono giornalisti. Allora i testimoni saranno i missionari. Testimoni e bersagli: «A Kigali – scrive Claudio Monici – si è aperta la caccia ai preti, senza distinzione etnica: si uccidono religiosi e suore bantù Hutu e watussi Tutsi» e poco dopo precisa: «Una spietata caccia all’etnia minoritaria dei Tutsi», rischio di «una ulteriore e drammatica "pulizia etnica" a colpi di machete».
Altra coincidenza e, se vogliamo, ulteriore beffa: il 10 aprile si apre a Roma il Sinodo per l’Africa, con 317 partecipanti. Per Roberto Beretta potrebbe non essere un semplice caso: «Il Vangelo ha i suoi paradossi. Anche il patire, gli sfregi, le crudezze e i martiri - persino essi - per fede si rivelano grembo doloroso di primizie che durano». Il primo appello ufficiale dal Sinodo è del 12 aprile: «Fermate il massacro». Fermate… Mentre Onu, Francia e Belgio tentennano (ma organizzare una spedizione richiede tempo), le testimonianze sono praticamente tutte dei missionari. Beatrice Luccardi, il 13 aprile, raccoglie da Misha quella del salesiano don Danko Litric. Ha 1200 rifugiati in chiesa. Tre giorni dopo la situazione precipita: «Bombe nella chiesa: mille massacrati». Il suo racconto è agghiacciante: «Sono entrati all’improvviso, erano le 6.30 della mattina. Hanno preso a calci la porta, l’hanno spalancata e subito hanno aperto il fuoco sulla gente inerme (…). Poi metodicamente si sono accaniti sui superstiti con coltellacci, bastoni e lance. Ho contato 1180 corpi sul pavimento della mia chiesa, 650 i bambini».
Per fortuna ci sono anche vicende a lieto fine. Come quella, narrata da Monici, di Amelia Barbieri, 76 anni, dal 1983 volontaria a Muhura, custode e "mamma" di una quarantina di piccoli orfani: «O partiamo tutti o io da qui non mi muovo». Sarà portata in salvo il 29 aprile con l’Operazione Cicogna di Maria Pia Fanfani e della Compagnia San Paolo. Monici segue la missione a bordo del volo per Entebbe, in Uganda.
I massacri proseguiranno fino a luglio, tra cronache dolenti e attonite. Il primo maggio Romanelli Cantini sintetizza così questo tragico 1994: «L’Africa nera sembra essere ormai il grande cono d’ombra del pianeta. Non interessa a nessuno».