Oltre 600 milioni spesi dallo Stato per i risarcimenti da ingiusta detenzione in 22 anni, ergo per errori giudiziari. I dati resi noti l’altro ieri dal Viceministro della Giustizia Enrico Costa, accompagnati dal piano del Guardasigilli Andrea Orlando per smaltire l’arretrato dei processi civili, hanno stimolato la reazione dell’Aivm, Associazione italiana delle vittime di malagiustizia. Il presidente Mario Caizzone, commercialista internazionale segnato da un calvario giudiziario durato 22 anni conclusosi con la piena riabilitazione, ha alcune domande da porre.«Il Ministero della Giustizia ha informato i cittadini che i costi ulteriori di una giustizia che non funziona ricadranno ancora una volta su di loro. Accelerano i pagamenti, ma c’è poco da stare allegri. Qui si parla di quelle poche vittime che avevano la possibilità di pagarsi un buon avvocato, fino ad ottenere il risarcimento. Vorrei chiedere al Ministero come faranno quanti non hanno avuto la possibilità di avere una buona assistenza legale e quanti ancora non l’avranno. In un Paese civile, nel momento in cui viene riconosciuto un errore giudiziario, dovrebbe essere lo Stato che, in automatico, liquida la vittima senza bisogno di un ulteriore processo di quantificazione».Caizzone, che dichiara stima per Orlando e Costa, rivolge loro alcune richieste precise: «vorremmo sapere quali provvedimenti sono stati presi nei confronti delle forze dell’ordine e dei magistrati causa di errori giudiziari, negligenza e superficialità e da cui sono conseguiti obblighi di risarcimento. E vorremmo sapere quante sono realmente le vittime di malagiustizia che hanno chiesto il risarcimento danni e di questi, quanti sono stati seguiti da un avvocato d’ufficio, quanti da un legale di fiducia e quanti ancora assistiti da gratuito patrocinio. Quante sono, infine, le vittime che attendono di ricevere il risarcimento e da quanto tempo. Serve un quadro chiaro». E poiché la malagiustizia viene considerata un ostacolo alla crescita, l’Aivm segnala un dramma economico e sociale in aumento. «È il problema dei nuovi poveri – prosegue Caizzone – colpiti dalle conseguenze di un errore giudiziario, costretti a lavorare in nero per sfuggire alle persecuzioni di Equitalia e delle banche. Sono sempre di più le persone che, dopo aver perso tutto, si trovano costretti a lavorare in nero per sfuggire al pignoramento dello stipendio, spesso unica fonte di sostentamento per se stessi e le proprie famiglie. Quando una persona viene colpita da un caso di malagiustizia, in Italia rimane segnata a vita. Nessuno si occupa delle conseguenze di una condanna, di una carcerazione o di un sequestro preventivo inflitte a un innocente. A volte è sufficiente un solo avviso di garanzia. Queste persone si trovano a vivere in condizioni di estremo disagio, nel totale disinteresse della collettività. Alle vittime di errori giudiziari si sono aggiunte, complice la crisi economica, categorie come imprenditori e liberi professionisti. Spesso chiudono l’attività per debiti con le banche e con Equitalia per contributi non versati. Molti li ritroviamo in fila alla Caritas e il loro numero sta crescendo. Per reinserirsi nella società non hanno alternative al lavoro nero, non potendo ottenere alcun prestito dalla banche essendo, inoltre, segnalati al Centro rischi della Banca d’Italia e le persone fisiche al Crif, il sistema di informazioni creditizie». Per far fronte al problema, i volontari dell’Aivm, tra cui professionisti e docenti universitari, chiedono la revisione delle leggi fallimentari nazionali, prevedendo una legge e una moratoria per piccoli e medi imprenditori. Chi è fallito, in sostanza, dopo un certo periodo - come accade negli Usa - deve poter rientrare nel circuito creditizio con una sanatoria. Così non si ingrosserebbero le fila degli emarginati da malagiustizia.