Attualità

è vita. Assistere i disabili gravi, questione di civiltà

Francesca Lozito giovedì 16 giugno 2011
Cinquantacinque anni, di sesso maschile, in stato vegetativo o di minima coscienza da almeno cinque anni. È l’identikit medio dei pazienti che sono stati coinvolti nella ricerca «Funzionamento e disabilità negli Stati vegetativi e negli Stati di minima coscienza», portato avanti da Fondazione Irccs Istituto Neurologico Besta col finanziamento del Ministero della Salute tramite il Centro nazionale prevenzione e controllo malattie assieme al Centro di Ateneo di bioetica dell’Università Cattolica, ai rappresentanti di 78 centri italiani, 39 associazioni di familiari e pazienti, e alla Federazione dei medici di famiglia. I risultati sono stati presentati ieri a Milano.Dieci mesi di lavoro per la raccolta dati che si è svolta in 16 regioni italiane, con il coordinamento della professoressa Matilde Leonardi, neurologa, e dei suoi collaboratori della struttura Neurologia, salute pubblica e disabilità del «Besta» hanno portato alla raccolta di dati importanti, perché molto scarsa è ancora la rilevazione sui bisogni sia dei pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza sia di chi li assiste.Sono stati esaminati 602 pazienti (566 adulti e 36 bambini). In media sono passati cinque anni dall’evento acuto per l’80% del campione e nel restante 20% che supera questo lasso di tempo si trovano diversi pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza da più di 15 anni. Il 70% è in stato vegetativo, il 30% in stato di minima coscienza, la maggior parte (64%) è ricoverata in strutture di lungodegenza (25), altri pazienti (26%) in strutture riabilitative (38) e altri ancora al domicilio (10%). Da un punto di vista territoriale, la maggior parte del campione proviene dal Nord Italia (61%), seguito dal Centro (22%) e da Sud e Isole (17%). Da un punto di vista clinico, il 68% dei pazienti adulti ha la tracheotomia, il 67% non presenta piaghe da decubito e il 94% si alimenta tramite Peg, il sondino nello stomaco. Nel campione di bambini con diagnosi di stato vegetativo o di minima coscienza – età media di 8,5 anni, per il 69% maschi – il 26% ha la cannula tracheostomica, il 91% non presenta piaghe da decubito e il 71% si alimenta tramite Peg. Calano le persone che sono in stato vegetativo in conseguenza di incidenti stradali. La maggior parte - il 74% del campione della ricerca sono state vittime di anossia, arresto cardiocircolatorio o emorragie cerebrali.Quanto a coloro che assistono i pazienti, i cosiddetti caregiver, la ricerca ne ha intervistati 487: il 70% è di genere femminile e il 56% oltre i 50 anni. Sul piano occupazionale, il 49% lavora, il 24% è pensionato e il 23% è impegnato in casa. La grande maggioranza dei caregiver di pazienti adulti in stato vegetativo o in di minima coscienza dichiara di aver ridotto tutte le attività rispetto a prima dell’evento acuto. Per quanto riguarda l’impegno temporale profuso per la cura del paziente, il 55.5% ha dichiarato di dedicare più di tre ore al giorno, di cui il 22% tra le 4 e le 6 ore quotidiane, il 12% oltre le 6 ore. La maggior parte dei caregiver dei minori, invece, dice di prestare assistenza continua 24 ore al giorno. Il 29% dichiara di dedicarsi alla cura del paziente perché si sente il più adatto a farlo, il 14% perché non c’è nessun altro, e tra le risposte più frequenti molti hanno risposto che si occupano del loro caro per amore.L’importante ricerca conoscitiva ha poi raccolto i dati di 1243 operatori socio-sanitari presenti nelle strutture italiane partecipanti. Il campione era costituito da diverse figure professionali di cui il 34% infermieri professionali, 30% assistenti sanitari, il 19% terapisti della riabilitazione e il 12% sono medici. Diverse figure professionali coinvolte nella cura dei pazienti con disturbi della coscienza riportano un impatto e uno stress lavorativo che varia a seconda delle differenze professionali ed è maggiore per gli infermieri. Il progetto continua con un follow-up del campione sul territorio nazionale già inclusi in questo progetto attraverso un nuovo progetto coordinato questa volta dalla Regione Emilia Romagna. «È stato molto importante – commenta Ferdinando Cornelio, direttore scientifico della Fondazione Besta – il coinvolgimento della Federazione dei medici di medicina generale che ha permesso di raccogliere informazioni su persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza, tramite un questionario cui han risposto oltre 1000 medici di famiglia italiani».Importanti per lo sviluppo del progetto anche le giornate su «Etica della condizione umana», riflessioni guidate su temi inerenti la complessità etica della cura delle persone in queste condizioni e le loro famiglie proposte dal Centro di bioetica dell’Università Cattolica diretto da Adriano Pessina e partner del progetto nazionale. «Gli incontri – afferma Pessina – hanno permesso sia agli operatori del settore sia alle associazioni di familiari, provenienti da diverse regioni d’Italia di confrontarsi tra loro e condividere le esperienze vissute quotidianamente».