Calabria a fuoco. Sull'Aspromonte che non c'è più, distrutto dagli incendi
Un gigante distrutto dal fuoco
La pineta di Acatti non c’è più. . Il bosco di pini laricei secolari è solo un tappeto di cenere, dove ancora si ergono alcuni alberi scheletriti dal fuoco. In alcuni punti vediamo ancora il fumo salire verso un cielo limpido. Cielo di montagna. Siamo a 1.500 metri di quota e quello che osserviamo è uno dei maggiori e peggiori disastri provocati dagli incendi nel Parco nazionale dell’Aspromonte. Quello che è stato distrutto era un vero tesoro ambientale. Una pineta naturale, pura, di pino lariceo della sottospecie calabra. Esemplari di più di 30 metri di altezza e con diametri del tronco fino a 2 metri. Dominati dai “giganti di Acatti”, pini enormi, di più di mille anni, dalle radici contorte abbarbicate alle rocce. Tutto questo non c’è più. Incenerito, raso al suolo, dalla mano criminale degli incendiari.
Siamo nel territorio del comune di San Luca, a monte del santuario della Madonna di Polsi, poco sotto la cima del Montalto, la vetta principale dell’Aspromonte coi suoi 1.955 metri. E quella che stiamo osservando è sicuramente la ferita più grave di quelle che hanno devastato questo territorio. Leggiamo sul sito del Parco. «Il Bosco di pino calabro più importante del Parco si trova presso Acatti (San Luca), ed è costituito da una pineta naturale caratterizzata da individui di maestose dimensioni».
Ma quello che vediamo ora è solo un immenso, terribile, disastro. Dai “giganti” alle piante più giovani. In quel vallone, su quel versante c’è solo morte. È la tappa finale di un lungo giro sulla montagna di San Luca accompagnati da un capo operaio e un operaio di Calabria verde, l’azienda regionale delle foreste. Quattro ore tra strade sterrate e sassose, a bordo di una vecchia e mitica Panda 4x4. «È ancora la migliore su queste strade», ci spiega l’operaio. Si sale, si salta tra sassi e ruscelli, lungo strade quasi impraticabili. Siamo nell’area più selvaggia del Parco eppure proprio qui gli incendiari hanno colpito più duro. Con danni che richiederanno decenni, forse secoli, per essere riparati.
«Chi ha appiccato l’incendio non ha coscienza, non ha un’anima – accusa il capo operaio –. Da più di 15 anni qui non c’erano incendi. Quest’anno è stato un inferno». Il fuoco che ha colpito la pineta è partito il 2 agosto ed è andato avanti fino al 13. «Il canadair è arrivato dopo tre giorni. Uno solo. Da qui ci mette mezz’ora per andare a caricare acqua dal mare e ritornare». Ancora peggio per chi opera a terra. «Il gruppo antincendio boschivo di Calabria verde, composto di 60 persone, si trova a Bovalino, sulla costa e per arrivare qui ci mette un ora e mezza. Avrebbero dovuto mettere un presidio qui, con mezzi fuoristrada». Anche perché l’unica strada che porta alla pineta è in parte franata e mai ripristinata. Così le squadre antincendio sono dovute intervenire a piedi.
Ma anche gli incendiari sono arrivati a piedi. Perché? Perché uno sforzo così? Toccherà agli investigatori capire cosa ci sia dietro un incendio così devastante in un’area così impervia. Ma altre questioni emergono. E sono molto evidenti. «Un tempo in montagna c’erano le vedette antincendio, ma dopo che una è morta per un fulmine le hanno tolte». Così ora in montagna ci sono solo gli operai forestali, che ogni giorno salgono per sistemare sentieri, muretti, ponticelli. Come oggi che stanno modificando una strada per il Santuario bloccata da una frana. «Siamo sempre in montagna e potremmo intervenire subito».
Ci spiegano che il fuoco resta basso per 3-5 ore e diventa di chioma dopo 1-2 giorni. Se c’è chi vede subito, l’incendio non diventerà mai di chioma. Ma quando arriva alle chiome ormai è battaglia persa. Come per la pineta di Acatti. Ma gli operai forestali non hanno radio, solo i cellulari personali che qui non hanno campo. Inoltre sono sempre meno e sempre più anziani, età media 63 anni. «Ma con quanto si spenderà per il danno ambientale avrebbero potuto assumere tanta mandopera». E soprattutto giovane. «Non ci mandino altri avvocati. Ci serve gente esperta di natura e di montagna, agronomi, forestali».
Appassionati. Come la squadra che incontriamo. Stanno lavorando per “sezionare” un enorme pino lariceo di 30 metri, 1,30 metri di diametro, quasi mille anni di età. Lo chiamavano “il guardiano di Cano”, dal nome della località di fronte alla pineta di Acatti. Anche qui è stato appiccato il fuoco, partendo dalla strada. Meno distruttivo, è rimasto basso ma per il “gigante” è stata ugualmente la fine. Bruciato alla base era diventato un pericolo e lo hanno dovuto abbattere. «È stato difficile, avevamo paura, ma ce l’abbiamo fatta. Ma è stato un grande dolore. Per noi era come un amico, un gigante buono. Qui con lui era sempre ombra».
Ora il “gigante” è a terra, ma dalla ceppaia dopo tre giorni continua a uscire fumo. Brucia all’interno, bruciano le radici resinose. Sembra la bocca di un vulcano o l’ingresso dell’inferno. È l’immagine più forte che ci portiamo via dall’Aspromonte martoriato dagli incendiari. «Ciao ragazzi», saluta il capo rivolto ai suoi “ragazzi” sessantenni. Poi da esperto riflette. «Questo è un disastro globale. I boschi calabresi assorbivano tante emissioni di CO2, anche quelle tedesche o inglesi. E ora?».