Il rientro. «Bentornata Silvia!», l'abbraccio coi familiari e col premier Conte
Silvia Romano è scesa dalla scaletta dell'aereo, indossando una veste islamica verde e una mascherina anti-coronavirus per coprire naso e bocca. Oggi alle 14 la volontaria 24enne italiana, rapita un anno e mezzo fa in un villaggio del Kenya e liberata ieri in Somalia, è tornata in Italia. L'aereo che la trasportava è atterrato allo scalo romano di Ciampino, dove ad accoglierla, oltre ai familiari, c'erano il premier Giuseppe Conte («Il suo sorriso è una boccata d'ossigeno per il Paese», ha detto) e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La giovane li ha salutati entrambi, si è fatta fotografare sorridente con loro e coi suoi familiari. Poi ha abbracciato a lungo i genitori e la sorella, commossi. «Sono stata forte, sto bene», ha ripetuto tra le lacrime la giovane cooperante, apparsa in buona salute, ma comprensibilmente emozionata. «Grazie alle istituzioni - ha aggiunto -. Ora voglio stare con la mia famiglia».
In contemporanea, nel quartiere di Milano dove la giovane abita con la madre, il suo rientro in Italia è stato salutato con 5 minuti di applausi. Al rintocco delle campane della chiesa in fondo alla via Casoretto, dove la giovane abita con la mamma, i vicini di casa si sono affacciati ai balconi, hanno battuto le mani per diversi minuti, nel corso di un flash-mob. Ai balconi erano appesi palloncini e striscioni e davanti al suo palazzo campeggiavano cartelli con scritto «Bentornata a casa Silvia». Ai festeggiamenti e al giubilo manifestato da migliaia di italiani nelle reti social, si è aggiunto quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «La notizia è motivo di grande gioia per tutti gli italiani. Invio un saluto di affettuosa solidarietà a Silvia e ai suoi familiari, che hanno patito tanti mesi di attesa angosciosa - afferma il capo dello Stato -. Desidero esprimere riconoscenza e congratulazioni agli uomini dello Stato che si sono costantemente impegnati, con determinazione e pazienza, tra tante difficoltà, per la sua liberazione Bentornata, Silvia!».
Secondo fonti investigative, Silvia Romano si sarebbe convertita all'Islam durante il sequestro. La conversione, precisano le fonti, potrebbe essere dovuta alla «condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento». Una versione che non collima con quanto dichiarato dalla giovane, secondo il sito online di Open: «Mi sono convertita all’Islam. Ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori, che mi hanno trattato sempre con umanità. Non è vero invece che sono stata costretta a sposarmi, non ho avuto costrizioni fisiche né violenze». Dopo l'arrivo e e il test del Coronavirus, la volontaria italiana è attesa in via Salaria, nella caserma del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma dei Carabinieri per un colloquio-deposizione, utile a ricostruire i dettagli del rapimento, della sua permanenza in mano ai sequestratori e altri particolari necessari agli inquirenti per ricostruire la vicenda. Sul suo rapimento, la procura di Roma ha aperto un'inchiesta che nei mesi si è avvalsa delle collaborazione delle autorità kenyote e di quelle somale. Secondo gli investigatori, la prima fase del sequestro sarebbe stata gestita da una banda composta da 8 persone, che avrebbe poi ceduto la volontaria a gruppi islamisti legati a Al Shabaab in Somalia. La sua liberazione sarebbe frutto dell'attività di intelligence dell'Aise, il servizio segreto "esterno" italiano, insieme agli apparati di sicurezza somali. Ora i pm della procura di Roma e i carabinieri del Ros dovranno accertare i contorni ancora non chiariti della vicenda: da quando fu prelevata dai rapitori, all'ipotesi di una sua conversione all'Islam (secondo voci riportate da alcuni media) e le fasi del rilascio, su cui aleggia l'ipotesi del pagamento di un riscatto. La giovane lavorava come cooperante in Kenya per la onlus marchigiana "Africa Milele" ed era stata rapita il 20 novembre 2018 nel villaggio di Chacama, a 80 chilometri dalla capitale Nairobi: uomini armati di fucili e machete l'avevano portata via con la forza. Dapprima, la polizia locale aveva ipotizzato una pista criminale (un sequestro a scopo di estorsione da parte di banditi kenyoti), poi col passare dei mesi si era fatta strada l'ipotesi che Silvia fosse stata venduta oltre confine, in Somalia, al gruppo jihadista di al Shabaab. Quando tre presunti responsabili del blitz erano stati arrestati, dalle indagini (condotte sul versante italiano dalla Procura di Roma) era arrivata la conferma di un possibile "trasferimento lampo" organizzato da elementi legati al Al-Shabaab, che avrebbero fornito mezzi e denaro a criminali kenyoti, autori materiali del rapimento. Le ultime informazioni erano emerse a novembre, a un anno dal sequestro, poi più nulla fino a ieri, quando si è diffusa la notizia della sua liberazione.