Oltre cento morti per quei palazzi costruiti male. In altre parole, quasi la metà delle vittime del 6 aprile del 2009 sono dovute al "fattore umano". La percezione di chi, nelle prime ore, ha visto accasciarsi in maniera anomala costruzioni dalle sembianze recenti ora trova conferma anche nelle analisi tecniche della procura dell’Aquila. Negligenze di progettazione, imperizie, materiali scadenti o con «valori di gran lunga inferiori a quanto indicato nel progetto» o in base «alla comune prassi» di costruzione. Dati che non lasciano spazio ai dubbi.I quindici palazzi in cemento armato ripiegatisi su se stessi, diventando una tomba per 135 persone, non sono collassati soltanto per il terremoto, ma anche per mano dell’uomo. Il 45% delle vittime del sisma, infatti, è concentrato nell’1% del patrimonio edilizio aquilano, quello appunto costruito a metà del secolo scorso fidandosi ciecamente di calcestruzzo e barre d’acciaio. È un compendio dei "condomini killer" quello redatto dai pm aquilani, che tira le fila delle prime indagini concluse sui crolli. E l’amara conclusione è proprio ciò che nessuno avrebbe voluto sentire: «La vulnerabilità degli edifici e il cedimento strutturale è una concausa preesistente al sisma» e dunque evitabile, visto che non «può considerarsi fattore eccezionale, anomalo o imprevedibile». In sostanza ad uccidere non è stato solo il terremoto, ma pure la superficialità dell’uomo-costruttore.La ricerca di un colpevole, perciò, non si restringe solo alla natura matrigna; anzi, la comunità scientifica concorda nel dire che il terremoto del 6 aprile non «è da inserirsi tra gli eventi eccezionali né in termini assoluti né in relazione alla storia sismica dell’Aquila né in relazione alle caratteristiche sismologiche già note della zona aquilana». E tra le pieghe della voluminosa memoria della pubblica accusa si sottolineano impietose responsabilità per quei palazzi collassati, costruiti tra gli anni ’50 e ’60, quando il boom edilizio della città – aiutato dalla legislazione a maglie larghe del primo dopoguerra – dava ampio spazio al risparmio nei materiali e alla faciloneria nei progetti. I palazzi, dunque, sono crollati per «la generale condizione di inadeguatezza sismica dipendente essenzialmente da fattori umani, quali la scarsa qualità dei materiali costruttivi utilizzati, errori di calcolo e di progetto, negligenze manutentive, errati interventi successivi di modifica strutturale».I periti della procura hanno passato al setaccio quel che resta dei "condomini della morte" e anche i tecnicismi non velano le lampanti responsabilità diffuse. Il verdetto per molti è un ripetersi di «calcestruzzo scandente, errori di progetto e di calcolo delle strutture con sottostima dei carichi verticali» o nei casi più eclatanti, come quello in via XX Settembre 46 (vi morirono 8 persone), crollo «per mancanza di un pilastro portante». Stessa conclusione in via Sturzo 39 (qui ne sono rimaste sepolte 21); il collasso è attribuito all’«assenza del numero minimo delle staffe di collegamento delle armature».Ancora più duro il quadro per altri condomini finiti nell’oblio del vortice della cronaca, come lo stabile di via Rossi 22: in quella costruzione del 1955 sono morti 17 aquilani e lì, oltre ad errori progettuali, sono sotto accusa «gli errati interventi del 2000 per la sopraelezione senza previa verifica della consistenza delle strutture preesistenti con aumento dei carichi verticali permanenti». Nei crolli «a macchia di leopardo», perciò, precisa la magistratura dell’Aquila, si insinua un altro fenomeno, quello di un sistema malato e generalizzato di costruire. «In realtà – si legge – il discrimine tra edifici crollati ed edifici rimasti in piedi non è rappresentato dalla severità del terremoto e dai picchi di accelerazione, bensì dai vizi progettuali, dalle carenze costruttive e dagli errati interventi di manutenzione». Una verità che, se confermata, potrebbe far tremare l’Aquila più del terremoto.