POLITICA E LEGALITA'. Anticorruzione, fiducia e via libera in Senato
C'è voluta nuovamente la leva del voto di fiducia, la trentanovesima per il governo Monti, per far passare il maxi-emendamento del governo con 228 sì, 33 no e 2 astenuti e sbloccare così l’accidentato iter del ddl anticorruzione, licenziandolo ieri in terza lettura al Senato e indirizzandolo dunque verso la Camera dove, se non subirà altre modifiche, dovrebbe essere approvato in via definitiva. Dopo il primo voto, ne è servito un altro finale sull’intero testo (chiuso con 256 sì, per effetto dell’adesione della Lega, 7 no e 4 astenuti), comprensivo della norma sulla copertura finanziaria. La maratona a Palazzo Madama è iniziata di mattina, quando il governo ha presentato in Aula il «maxi» (un ponderoso corpo di 84 articoli), frutto della mediazione con le forze politiche. A farlo e a replicare alle frecciate dell’opposizione con toni vibranti, è stato il ministro della Giustizia Paola Severino: «Nessun inciucio. Siamo un governo di persone oneste», ha tuonato. E ancora: «Non é vero che non abbiamo costruito nulla. Fare i grilli parlanti è uno sport molto diffuso, anche io appartenevo a questa categoria, bisogna passare qui dentro per capire la fatica che c’é dietro ad ogni provvedimento». In Aula anche il presidente del Consiglio, Mario Monti, che nel pomeriggio da Bologna ha confidato ai cronisti: «Non ho mai usato in vita mia l’espressione metterci la faccia, ma lo faccio in questa occasione», perché una legge del genere serve alla crescita economica del Paese.Il testo approvato al Senato è una sintesi dei lavori parlamentari degli ultimi mesi, ma viene data al governo una delega a legiferare entro un anno sulle incandidabilità e incompatibilità dei candidati a cariche elettive nel caso in cui siano stati colpiti da condanne superiori ai due anni per i delitti contro la pubblica amministrazione o di grave allarme sociale (Severino annuncia un impegno forte del governo ad affrontare il tema «entro un mese»). Poi c’è la vexata quaestio del collocamento fuori ruolo dei magistrati, chiusa dopo una trattativa notturna ad oltranza coi partiti di maggioranza: si introduce l’obbligo per le toghe con funzioni apicali di dichiararsi fuori ruolo. Per tutti gli altri magistrati dovrà essere il governo, entro 4 mesi, a decidere con una legge delega. Resta il limite di 10 anni, salvo deroghe per chi ha incarichi elettivi in organi costituzionali o internazionali. Ancora vengono inasprite le pene per peculato, concussione e varie figure di corruzione («in atti giudiziari, fino a 10 anni»), oltre all’«induzione indebita a dare o promettere utilità». Restano anche due fra i reati più dibattuti, il traffico di influenze illecite e la corruzione fra privati, con pene da 1 a 3 anni.