Attualità

Una «voce delle voci». Anni di grande crescita con la direzione giusta

Umberto Folena venerdì 4 settembre 2009
Diciott’anni, si fa presto a dire diciott’anni. Prego, accomodatevi. Curiosate in qualche archivio, in una biblioteca ideologicamente libera, e guardate che cos’era Avvenire agli inizi del 1991. Guardate che cos’è adesso. Ecco, questi sono i diciott’anni di Dino Boffo. Una rivoluzione. Una crescita costante in qualità, autorevolezza, diffusione.Ma quando in quel 1991 Boffo si affaccia in redazione, in via Mauro Macchi 61 a Milano, l’aria è gelidina, perché negarlo? Veniva a fare il vice del nuovo direttore, quel galantuomo di Lino Rizzi, maestro di giornalismo di fronte al quale in molti ci sentivamo alunni… Qualche commento non è benevolo. E chi sarà mai costui, sbucato da un settimanale cattolico di provincia? Quale esperienza potrà avere, e quale autorevolezza? Questa di essere ampiamente sottovalutato è stata – oggi possiamo dirlo – una fortuna per lui. È vero, era stato prima vice e poi direttore della "Voce del popolo" di Treviso. Settimanale diocesano. Però, tutt’altro che minuscolo. La dimensione della motosilurante, che addenta senza tremori le corazzate della carta stampata, è sempre stata congeniale a Boffo. Per dire, era tra i pochissimi che osasse opporsi al grande satrapo del Veneto degli anni Ottanta, il doroteo Bernini… Ma chi se lo ricordava? E chi ricordava che a soli 25 anni Mario Agnes se l’era scelto come segretario generale nell’Azione cattolica? E che per lunghi anni aveva visitato più volte le diocesi italiane per incontrare, conoscere, parlare, soprattutto ascoltare? Pochi sapevano che già allora nessun fedele laico, in Italia, conosceva la Chiesa italiana come lui, e per averla sperimentata di persona tutta.Sfortuna volle che Lino Rizzi fosse vittima di un grave incidente stradale. Boffo si ritrovò, da vicedirettore, a dover condurre di fatto il giornale. Sventura doppia, anzi quadrupla: in poco tempo tre caporedattori su quattro se ne vanno, scegliendo altre avventure professionali. Gli rimane, unico, il generosissimo Giuliano Ragno. Il giornale affonda? No, macché, anzi. Galleggia, e pian piano comincia a filare.Il primo gennaio 1994 Dino Boffo è direttore. Comincia a correre e non si ferma più, costringendo gli altri a correre con lui. L’obiettivo è far diventare definitivamente Avvenire un giornale come gli altri, migliore degli altri. Che nessuno acquisti "per dovere", ma solo per convinzione. Boffo chiama a collaborare le firme più interessanti e originali del mondo cattolico, e molti laici privi di pregiudizi. Cresce l’informazione religiosa, presto nascerà la sezione cultura Agorà. Tutti sappiamo quante parole si spendono sui "diritti di bambini e ragazzi" tanto proclamati in convegni e seminari di studio e apposite "Carte". E il diritto a un’informazione, adeguata alla loro sensibilità e cultura? Nasce così Popotus, primo e ancor oggi unico giornale per bambini e ragazzi: non un "giornalino" ma un vero e proprio quotidiano, sia pure limitato al giovedì e al sabato. Il giornale si arricchisce di supplementi: "Luoghi dell’infinito", "Noi genitori & figli"… Volendo non smarrire le migliori tradizioni culturali, anche e soprattutto di cultura popolare di qualità, raffinata, Avvenire arriva a riproporre in copia anastatica un’annata del "Vittorioso"… Ma sono anche e soprattutto gli anni del "Mattutino" di Gianfranco Ravasi, degli sforzi editoriali per seguire da vicino i grandi eventi ecclesiali, a partire dal Convegno ecclesiale di Palermo – con un inserto speciale e una vera task force di giornalisti –, fino alle Giornate mondiali della Gioventù e naturalmente alla testimonianza di Giovanni Paolo II. Sono gli anni del Progetto culturale, che in Avvenire trova eco e sempre nuovi spunti.La direzione di Boffo ha un obiettivo chiaro: far partecipare i cattolici italiani al dibattito pubblico, accanto agli altri, alla pari degli altri; a volte alleati con molti altri, altre volte in sincera polemica, com’è normale in un libero dibattito che formi l’opinione pubblica. Lo sforzo è di riuscire a dare spazio a quante più voci possibili, nel mondo cattolico. Avvenire, con lui, sarà un giornale non per "tifosi". Nessun lettore sarà sempre accarezzato, né si sentirà dare sempre ragione. Per questo Avvenire crescerà a poco a poco, rifiutando sistematicamente il doping dei gadget che succhiano risorse finanziarie senza alcun miglioramento del giornale in sé. Per questo parteciperà a tutti i confronti culturali degli ultimi anni, con una imponente documentazione e appositi inserti ("èvita", "èfamiglia", "èlavoro"). Avvenire doveva diventare alla pari, anzi migliore degli altri giornali da ogni punto di vista; di qui la radicale riforma grafica del 2002.Si è parlato in questi giorni di Dino Boffo per il suo ruolo ecclesiale, soprattutto. Ma la sua prima e decisiva eredità è di tipo professionale. Pochissimi direttori hanno saputo trasformare radicalmente e far crescere un quotidiano come lui. Questo è un dato innegabile. Da ieri Avvenire ha perso un grande professionista, un giornalista capace di governare con polso sicuro un quotidiano "difficile" come questo, e come pochi capace di fare squadra. "Ha perso"… Qualcuno gliel’ha sottratto. C’è chi sul web ha commentato: il delitto perfetto. E ha inserito il poster di un celebre film di Quentin Tarantino: "Le iene".