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Report. L'Italia è prima in Europa per morti da amianto: paghiamo le mancate bonifiche

Andrea Ceredani lunedì 7 ottobre 2024

L’Italia è il Paese in Europa con il maggior numero di decessi per mesotelioma. Il responsabile è, purtroppo, ancora sotto gli occhi di tutti: sono le 40 milioni di tonnellate di amianto che devono essere bonificate in tutto il Paese dal 1992, quando fu emanata la legge che vietava – tra le altre cose – la commercializzazione e la produzione del minerale cancerogeno. A fornire i dati è Eurostat, che ha calcolato 518 morti nel 2021 per mesotelioma pleurico, il tumore “sentinella” dell’asbesto. Ma i conti non tornano. «Il dato è chiaramente sottostimato – commenta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto – ed escludo anche che i mesoteliomi siano in calo». In effetti, il VII Rapporto Renam (Registro nazionale dei mesoteliomi, Inail) annotava oltre 1.200 casi di mesotelioma all’anno. E, «purtroppo, i mesoteliomi hanno ancora una sopravvivenza al terzo anno che non supera il 70%», spiega l’oncologo Pasquale Montilla, membro del comitato scientifico Ona. In altre parole, è lecito immaginare che i morti annui siano superiori di qualche centinaio rispetto al dato Eurostat.

Dottore, resta il fatto che l’Italia è prima in questa triste classifica, sopra a Germania e Francia. L’avvocato Bonanni ritiene che sia principalmente «per l’uso smisurato di amianto fatto fino al 1992». Ci sono anche altre ragioni?

Il motivo è semplicissimo. L’Italia è stato il Paese che ha utilizzato le massime concentrazioni di amianto. Ma, una volta identificata la sua presenza passiva – ad oggi 34 milioni di tonnellate in matrice compatta e il resto friabile – è venuta meno la capacità di bonificare e neutralizzare l’impatto degli agenti cancerogeni attivi. Così, si è determinato anche un ritardo nella prevenzione. Per di più, monitorare la neoplasia è difficile perché si può manifestare anche a 40 anni dall’esposizione e i dati sono vincolati a centri che dovrebbero essere molto più attivi di come sono.

Quindi, ci sono delle responsabilità se i numeri non sono chiari?

C’è qualcosa che non va, perché il dato che abbiamo è eccessivamente fluttuante in riferimento agli andamenti epidemiologici. Quello che fa riflettere è che i numeri sono registrati dall’Osservatorio Renam dell’Inail, dove c’è un registro aggiornato grazie alla rapidità e alla completezza delle Regioni che inviano i dati dai Centri operativi regionali, ma spesso la sorveglianza è inattiva. Mi riferisco, ad esempio, ad Abruzzo, Campania e Calabria. Perciò, il dato epidemiologico non viene acquisito e, quindi, anche l’intervento di prevenzione primaria, secondaria e terziaria ne risente.

Vuole dire che non avere i numeri corretti impatta sulla salute di chi è esposto ad amianto?

Voglio dire che quello che manca è associare, come diciamo in gergo tecnico, l’epidemiologia molecolare a quella classica.

Ci spieghi meglio.

Il vero approccio oncologico futuro non potrà essere quello di trovare un paziente malato e iniziare a curarlo con terapie, come gli anticorpi monoclonali, che hanno costi altissimi. Il futuro sarà la prevenzione primaria: per identificare i soggetti a rischio di sviluppare un cancro, dobbiamo effettuare test genetici mirati e trovare le eventuali mutazioni. Dopodiché, agire sulle esposizioni a cancerogeni e neutralizzarli.

Parrebbe, però, dai numeri Eurostat che le morti siano in calo. Il peggio è passato?

Il dato non è in calo secondo me. Spesso facciamo riferimento solo ai mesoteliomi da esposizione professionale, ma dobbiamo specificare che esistono patologie oncologiche asbesto-correlate che non sono tabellate dall’Inail. La ricerca ha dimostrato l’associazione fortissima fra amianto e tumori del pancreas, linfomi, tumori dell’apparato riproduttivo e altri. Se non li contiamo, sottostimiamo il dato statistico.

A che punto sono le cure per questi tumori?

Il mesotelioma è una neoplasia rara e i suoi tassi di mortalità sono ridotti dall’uso di immunoterapia e chemioterapia combinata. Ma dobbiamo essere chiari: siamo ancora al palo. Cerchiamo di garantire una qualità della vita più longeva possibile, ma la mortalità a 3 anni resta attorno al 70-80%, nonostante i vantaggi che ci danno anche anticorpi monoclonali e radioterapia.

Riassumendo, senza dati affidabili non possiamo fare prevenzione?

La prevenzione è la vera cura. Tutta Italia è coperta da sorveglianza da tumore maligno alla pleura, ma i dati sono incompleti in molte regioni. Questo determina un ritardo da parte delle autorità preposte alla bonifica che non tombano l’amianto. E le persone lo inalano e muoiono, come succede alla ex Pertusola a Crotone. È un fatto gravissimo.