Salute. Amianto, è allarme: bonifiche in ritardo e siti dimenticati
Amianto tra gli scogli artificiali
Dalle immagini dell’elicottero della Guardia di finanza che li ha avvistati il 6 marzo, i 6.000 chili di rifiuti pericolosi sequestrati in un casolare nel Comune di Chioggia apparivano come un innocuo cumulo di immondizia, dentro a un campo abbandonato al degrado. Ma in quegli oltre 1.500 metri quadrati di discarica abusiva si nascondevano, fra gli altri materiali a rischio, anche lastre di amianto in grado di contaminare l’aria dell’intera zona.
Una sentenza di morte per chiunque ne avesse respirato le fibre.
Quello del Comune veneto non è un caso isolato: solo nello scorso mese, le forze dell’ordine hanno sequestrato – e avviato a smaltimento – tonnellate di rifiuti pericolosi in immondezzai abusivi a Copparo, in provincia di Ferrara, a Siracusa e a Empoli, in provincia di Firenze. Tutto materiale nascosto perché, nonostante non ci sia alcun divieto di utilizzo dell’amianto (o asbesto) già impiegato fino al 1993, in Italia da quella data non può essere fabbricata né posta in opera alcuna fibra del minerale. Che è tantissimo: l’Osservatorio nazionale amianto (Ona) conta 40 milioni di tonnellate in un milione di siti in tutto il Paese. Ed è ovunque: sono tuttora contaminate 2.400 scuole, 1.000 biblioteche e 350 ospedali (dati Ona 2022, in assenza di una mappatura sistematica ministeriale). A fronte di oltre 4.400 vittime dell’amianto all’anno – stima Iss, forse superata dal dato reale – le bonifiche sono in ritardo e l’abusivismo continua a esporre al rischio di patologie.
In effetti – è bene ricordarlo – l’inalazione di pochissime fibre è sufficiente per lo sviluppo di tumori correlati all’asbesto. La comunità scientifica lo denuncia almeno dagli anni ’70: «La dose scatenante può essere anche straordinariamente piccola», dichiarava nel 1978 il professor Irving Selikoff, fra i primi a stabilire una relazione fra amianto e malattie polmonari. E per il mesotelioma pleurico, la malattia “sentinella” scatenata solo dall’asbesto, la mortalità è elevatissima.
«È una sentenza di morte – spiega il dottor Pasquale Montilla, oncologo impegnato da decenni nella cura delle vittime di sostanze tossiche -. Solo un paziente su cinque è vivo a cinque anni dalla diagnosi». Le sperimentazioni con anticorpi monoclonali e immunoterapia affiancano l’approccio chirurgico ma, per adesso, «non c’è alcuna garanzia di un aumento di sopravvivenza». Non solo. Il quadro clinico si aggrava, quando i contaminati si espongono ad altri agenti chimici. «In tossicologia lo chiamiamo esposoma – continua Montilla –. La malattia si sviluppa più velocemente quando sei toccato da sostanze cancerogene ambientali. Penso alle microplastiche, alle nanoplastiche e ai metalli tossici». In altre parole, per chi ha già inalato fibre di asbesto, anche il fumo di una sigaretta o l’aria di una discarica, accelerando il decorso del tumore, possono rivelarsi fatali. E in Italia, specialmente all’interno dei Siti di interesse nazionale, sono moltissime le aree contaminate.
«Nella Pertusola di Crotone, per esempio, - conclude il dottor Montilla – la mortalità per tumori è talmente alta da aver fatto disattivare i registri. Certe zone andrebbero chiuse, seppellite e tombate. L’impatto sanitario è devastante».
Eppure, nonostante il monitoraggio sia difficile senza un dato nazionale aggiornato, il ritardo nella bonifica dei siti contaminati è evidente. Secondo la mappatura del ministero dell’Ambiente del 2019, sarebbero 370mila le strutture esposte all’amianto. Il dato è sottostimato, secondo l’Ona, che ne rileva un milione. Ma anche fra le sole aree censite dall’ufficio centrale, solo 7.770 sono state bonificate e 4.261 parzialmente decontaminate. Senza contare le Regioni, come la Calabria, inadempienti nella mappatura dei dati da coordinare con il dicastero.
Laddove si avvia la bonifica, poi, il problema prosegue con lo smaltimento. Le discariche italiane «sono poche e stracolme», denuncia l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Ona. E, per adesso, le soluzioni alternative sono pericolose o troppo costose. I trattamenti termici richiedono temperature altissime per funzionare e i processi chimici, pur meno dispendiosi da un punto di vista energetico, rilasciano prodotti di scarto. Ciononostante, ben 12 Regioni ad oggi sono prive di impianti adatti allo smaltimento dell’amianto (elaborazioni Legambiente), con la conseguenza che quasi un rifiuto di asbesto su due è costretto a viaggiare fuori dall’Ente locale per essere “eliminato”. «C’è un’emergenza in Italia – continua Bonanni – legata all’esiguità del numero e dell’estensione delle discariche, che sarà destinata ad aumentare in relazione alla crescente necessità di bonifica indotta dall’aumento dei casi di patologie asbesto correlate». In numeri: i 18 impianti attivi non sono sufficienti a smaltire le 40 milioni di tonnellate di amianto oggi rimaste, che promettono di mietere vittime per altri due secoli. Ovvero il tempo, secondo stime Ona, necessario per interrompere le morti da mesotelioma pleurico mantenendo i ritmi odierni di bonifica.
Nel frattempo la strage prosegue, il picco di vittime non è stato ancora raggiunto e i familiari condividono i fondi pubblici con le stesse ditte condannate al risarcimento. «Una legge – accusava a gennaio Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil – sembra istituire un fondo a favore dei lavoratori ammalati, ma lo estende alle stesse imprese colpevoli dell’esposizione».
Nel mirino del sindacato, c’è il decreto interministeriale del 5 dicembre 2023, che istituisce un «nuovo fondo vittime amianto». Annunciato con entusiasmo a gennaio dalla ministra del Lavoro Elvira Calderone: «È stato rifinanziato il fondo vittime amianto per un totale di 20 milioni annui fino al 2026 e le risorse Inail in materia di sicurezza sono raddoppiate sul 2023».
A preoccupare, sono i vincoli per l’accesso al nuovo finanziamento, permesso non solo a «lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate presso i cantieri navali» e agli «eredi di quest’ultimi», ma anche alle stesse «società dichiarate soccombenti». «La norma regala 20 milioni di euro a Fincantieri – replica Re David alla ministra –, i cui dirigenti sono stati condannati penalmente per aver causato la morte di tantissimi lavoratori. È una beffa».