Napoli. Ambulanza attaccata, ferita infermiera. L'assurda spranga e un bene dovuto
Un’ambulanza corre nel traffico convulso di Napoli, l’urlo della sirena lacera i viali. C’è un paziente a bordo, in codice rosso, va portato d’urgenza in ospedale. L’ambulanza avanza a fatica fra le colonne d’auto, a Largo Antignano è costretta a rallentare. In quel momento, improvviso uno schianto aspro di vetri in frantumi. Un incidente? No, un passante con una spranga ha infranto un finestrino del mezzo. Un’infermiera a bordo è ferita, la corsa all’ospedale è interrotta, sull’ambulanza tutti sono attoniti. Sprangate su un veicolo che trasporta magari un moribondo, che chiede strada gridando con la voce acuta della sirena, perché? Chissà, magari quel suono lacerante dava noia allo sconosciuto, indifferente alla sorte dell’uomo che incalzato da un infarto o da una emorragia sulla barella implorava che si facesse in fretta. E non deve essere la prima volta, se il presidente dell’Ordine dei medici di Napoli arriva a paragonare Napoli stessa a Raqqa, la martoriata città siriana, e dichiara che «queste vili aggressioni devono finire».
Dunque, non un episodio unico. Anche un’autolettiga che corre per salvare una vita può essere un bersaglio. La gratuità della violenza fa tornare in mente l’aggressione alla invalida nel bar di Tor Bella Monica, nella indifferenza o nella paura dei presenti. È di un’altra natura la violenza, quando è perpetrata sull’indifeso: è più inspiegabile, illogica, bestiale, e a chi assiste resta sospesa tra le labbra una domanda senza voce: ma, perché?
Chi scrive faceva, da ragazza, la volontaria sulle ambulanze, a Milano. Non erano anni teneri, ma invece l’apice del terrorismo, degli agguati mortali, delle gambizzazioni. La sera si calavano in fretta le saracinesche, ci si chiudeva in casa, le strade restavano buie e vuote. Non era certo una città cordiale, Milano nei primi anni Ottanta. Eppure ogni volta che ci chiamavano in una casa e partivamo con la sirena accesa, ricordo bene il farsi da parte svelto delle auto, e gli occhi dei passanti che si voltavano e ci seguivano mentre ci allontanavamo. Qualcuno, sul marciapiede, addirittura si faceva un segno della croce per quello sconosciuto che correva verso il suo destino. E poi, quando arrivavi alla casa del malato, i vicini in attesa a spalancarti il portone, a guidarti al piano giusto. Era chiara, pure nella città indurita dagli anni di piombo, la solida memoria di una pietas collettiva, propria dei cristiani come degli operai comunisti e degli immigrati, nelle torri delle periferie. E quando poi noi di corsa si caricava la barella e si partiva ci salutavano, quegli sconosciuti, con gratitudine, stupiti che dei ragazzi di vent’anni al sabato sera soccorressero la gente, invece di andare a ballare. E quando ancora, finito il turno, entravamo nel dopolavoro della Atm a Forze Armate, nell’aria densa di fumo sempre qualcuno si alzava e ci offriva da bere, come a vecchi amici. Nell’Italia pur inasprita dei primi anni Ottanta c’era un sentimento ampiamente condiviso di rispetto per l’uomo ferito o malato, per l’uomo nell’ora della debolezza, e un’ampia, grata simpatia per coloro che lo assistevano.
Per questo mi meraviglia che nella calda, umanissima Napoli possa accadere, e non una volta sola, che un’ambulanza venga presa a sprangate. Così, gratuitamente, per puro vandalismo, puro sopruso su chi è inerme. Come in quel bar ai margini di Roma, dove ci si è scagliati sulla più indifesa.
Due episodi soltanto , certo, che pure sembrano disegnare una crepa nera e sottile nel vivere insieme in questa nostra Italia. Una frattura, forse una cosa da niente, o chissà? Penso ai bulli che si accaniscono sui più deboli come agli anelli di una catena spezzata: non c’è stato in casa loro un padre, una madre, una nonna che abbia saputo trasmettere la pietas ereditata dai vecchi. Nessuno che, per strada, al passare di una sirena si sia chinato sul bambino per mano e gli abbia detto: sai, lì dentro, forse, c’è un uomo che muore. Risvegliando pensieri e domande, e la coscienza del mistero che ci sommerge. E anche l’urgenza, dentro questo mistero, di abbracciarci e di sostenerci fra noi. Il vetro in frantumi di un’ambulanza a Napoli come un pugno nel petto. Quanto dobbiamo dare di buono e di grande ai nostri figli, e anzi restituire, di quell’eredità che le madri e i padri e i nonni ci hanno stampato addosso: a sguardi, a carezze, a gesti, e solo con poche parole. Di quanto bene, siamo ai nostri figli debitori.
Aggiornamento del 17 maggio 2018
Non è stata un'aggressione, ma un incidente il danneggiamento dell'ambulanza che correva in codice rosso, a Napoli, il 12 maggio scorso. La Polizia ritiene che un palo urtato dallo stesso mezzo abbia provocato la rottura di un finestrino e il ferimento di un'infermiera. LEGGI QUI