L'intervista. È Overshoot day: abbiamo già consumato le risorse per quest'anno
L'Istituto internazionale Global Footprint Network ci informa che da oggi, 2 agosto, l’umanità entra in zona negativa per quanto riguarda la capacità rigenerativa del sistema vegetale. La giornata di oggi è anche detta giorno del sorpasso, Overshoot day in inglese, ad indicare che i nostri consumi hanno raggiunto il limite massimo di prestazioni che il sistema vegetale è in grado di garantirci per l’anno che stiamo trascorrendo. Una situazione drammatica soprattutto se teniamo presente che abbiamo bisogno del sistema vegetale non solo per garantirci cibo, vestiario, alloggio, ma anche per sbarazzarci dell’anidride carbonica.
Nominato nel 2018 dalla rivista Nature tra gli 11 migliori scienziati emergenti nel mondo che «stanno lasciando il segno nella scienza», Giorgio Vacchiano, professore associato in Gestione e pianificazione forestale dell’ Università degli Studi di Milano, non si stanca di ripetere che «stiamo consumando due pianeti».
Oggi è l’Overshoot day globale.
A livello mondiale siamo un po’ più avanti rispetto alla metà dell’anno, significa che stiamo usando le risorse che verrebbero generate da due pianeti. Per l’Italia è andata anche peggio: il nostro Overshoot è stato il 15 maggio.
L’anno scorso però ci eravamo arrivati il 28 luglio. Siamo migliorati?
Il miglioramento in realtà è di un giorno solo, perchè gli altri quattro che abbiamo guadagnato sembra che siano dovuti a cambiamenti nel metodo di calcolo. In ogni caso è sempre un giorno guadagnato anche se non si capisce bene se è dovuto a sforzi di decarbonizzazione e al passaggio alle energie rinnovabili - che per fortuna stanno aumentando - o semplicemente dovuto a una stagnazione economica che ovviamente ci fa consumare meno. Nel 1970 quando sono iniziati i calcoli relativi a questo indice l’overshoot day cadeva il 25 dicembre quindi eravamo praticamente sostenibili.
Ma quali sono queste fonti sfruttate che vengono conteggiati nell’indice?
Il calcolo include due fattori: l’impronta ecologica, cioè l’impatto sull’ambiente dei nostri consumi e delle nostre attività, come la produzione di rifiuti o l’immissione dell’anidride carbonica nell’atmosfera o il consumo delle terre; poi la biocapacit, la capacità cioè che il pianeta ha di rigenerare o smaltire quello che noi immettiamo. Può ad esempio riassorbire l’anidride carbonica (ruolo delle foreste fondamentale) può smaltire i rifiuti decomponendoli con i processi naturali del sottosuolo oppure può far ricrescere alberi nei luoghi in cui li abbiamo tagliati. L’overshoot day non deve essere una preoccupazione di “nicchia”, degli scienziati e dei ricercatori. Deve interessare tutte le nostre attività: i bilanci delle aziende si basano ad esempio su un ambiente che può rigenerarsi perché a ben guardare tutti i capitali sono basati alla fine sulle risorse naturali, su spazi, sulle terre su un clima non troppo pericoloso che ci consenta di fare le nostre attività. Quindi essere consci del giorno in cui non si può più oltrepassare l’asticella dovrebbe essere nell’interesse di tutti: dei governi che vogliono proteggere i propri cittadini e delle aziende che vogliono continuare a fare profitti e mantenere un ambiente che permetta loro di continuare a farli a lungo.
Come si fa a ritardare l’Overshoot day?
Si può ritardare di 13 giorni, riducendo di un terzo tutti gli sprechi alimentari oppure di 26 giorni, raddoppiando l’energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma, ancora: piantare alberi in tutti i luoghi dove in questo momento è possibile farlo sulla terra lo ritarderebbe di soli otto giorni. È interessante anche vedere la potenza di una o dell’altra soluzione. Parliamo tantissimo di piantare alberi ma ridurre gli sprechi di cibo vediamo che è ancora più potente oppure dimezzare il consumo di carne globalmente lo farebbe avanzare di almeno 30 giorni.
Ogni Paese ha un suo “indice” di consumo e quindi una data?
Cito l’economia della ciambella di Kate Raworth: uno spazio virtuale all’interno del quale esercitare le attività umane. Il bordo interno della ciambella indica i livelli minimi che garantiscono il benessere per tutti (istruzione, diritti delle donne, povertà, sicurezza idrica e alimentare, ecc); il bordo esterno della ciambella, cioè il limite da non superare sono i cosiddetti limiti planetari, il livello in cui il pianeta non riesce più ad assorbire o ad ammortizzare il nostro sfruttamento. Esiste quindi uno spazio sicuro dove vivere e dove operare si chiama safe operating space e ogni paese dovrebbe prendere in considerazione questo indicatore per le sue politiche: il livello minimo e il livello massimo in cui posso operare, ma questo non avviene. Abbiamo solo pochi casi sparuti come la Slovenia o la Svizzera e forse altri tre o quattro.
Cosa manca ancora per svoltare?
Devono “unire i puntini”: quando si parla di impatti climatici e di eventi estremi si deve capire che influenzano tutte le nostre attività. Un salto di qualità che in parte abbiamo cominciato a fare quest’anno dopo le ondate di calore e gli incendi. Quello che ancora manca è cominciare a parlare di soluzioni.
Difficile fintanto che abbiamo ancora chi nega
Quello che vediamo ora è il negazionismo delle soluzioni, che è la parte più pericolosa del negazionismo e dell’inattivismo cioè del non fare abbastanza. In Italia alcuni parlano ancora di “cicli naturali”, per fortuna che a livello globale ormai sono pochissimi che lo dicono e non vengono neanche presi sul serio.
Qual è la soluzione più importante e immediata?
Dobbiamo andare a ridurre e ad azzerare le emissioni. Questa è l’unica cosa che viene trascurata, omessa e dimenticata in nome di una pseudo economia che però non regge. Investire in energie rinnovabili, lasciare il carbone, il petrolio e il gas sottoterra: tutto questo porta più lavoro e più profitti. Abbiamo le conoscenze e i soldi per farlo.
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