«Una marcia per guarire le ferite dell’individualismo». Don Matteo Zuppi («Chiamatemi così: don Matteo va bene», ci chiede sorridendo il vescovo ausiliare di Roma, dal prossimo 12 dicembre arcivescovo di Bologna) si ferma su quella parola. La ripete sottovoce: individualismo. Poi, per qualche istante, posa gli occhi sulla locandina colorata che racconta l’evento di domenica prossima, 8 novembre. «Ci vediamo al Colosseo. Per ritrovarci insieme, per ricostruire una rete, un interesse comune. Non da soli. Insieme. Sì, insieme» (
www.marciaperlaterra.org). Una pausa leggera. Monsignor Zuppi lega il mondo a Roma. Parla di 'casa comune'. Di stili di vita. Di scelte di rottura da un consumismo selvaggio che «produce inquinamento e ingiustizia». Davanti all’altare della Chiesa di Santa Maria della Consolazione, a due passi dal Campidoglio, un gruppo di giovani suona la chitarra; nella sagrestia don Matteo riflette a voce alta sulla forza della
Laudato si’. Lega la cattiva economia ai disastri ambientali. E, con un tono di voce ora più severo, scandisce il primo atto d’accusa: «Questa marcia per la terra sarà la marcia dei più fragili: sono loro quelli che pagano il prezzo più alto, le prime vittime. Sono i dimenticati. Gli invisibili. Nostro Signore li chiamerebbe il nostro prossimo, i fratelli più piccoli. E tutti noi dobbiamo stare al loro fianco».
Che significa marciare domenica per la terra? Significa scegliere 'senza se e senza ma' la difesa del creato. E, proprio per questo, come chiarisce la
Laudato si’, significa partire dai più deboli per cominciare a curare le ferite di un’economia e di un sistema che produce miseria e che disprezza la vita. Significa dire no all’individualismo, all’uso folle delle risorse e far sentire a chi rema contro la pressione di un’opinione pubblica sempre più matura e sempre più esigente.
Un cambio di passo per il mondo e per Roma? È così: per il mondo e per Roma. Già Roma. Qui la 'casa comune' è messa a rischio da indifferenza e da silenzi. Qui l’ambiente è fortemente segnato dalla corruzione, dalla disaffezione, dal disorientamento, dall’individualismo che rende passivi. Abbiamo combinato guai, alla nostra città e al nostro pianeta. Perché c’è un filo che lega grandi e piccole scelte, che unisce i mali di una città ai mali del mondo: l’indifferenza.
Ha sofferto per questi mesi difficili della Capitale? Enormemente; tutti hanno sofferto enormemente. Perché penso a chi è debole e paga più di tutti le incurie e gli errori. Dobbiamo riflettere sulla città e sul momento complicato che vive: c’è una comunità tentata di rinchiudersi in piccole isole, impaurita, a volte aggressiva. Roma è bellissima, ma è anche misera. Ha una grande forza umana che però deve essere ascoltata, aiutata ad esprimersi.
Roma è una città solidale? Sì, lo è. Ma questa solidarietà viene tradita, sfregiata, fiaccata dalla corruzione, da una politica incapace, da un sistema che ragiona sempre sulla logica dell’emergenza. Si fatica persino a far fronte all’ordinario. Gli anziani, i poveri, gli emarginati, persino le buche, persino le strade che diventano barriere architettoniche... È incredibile che ancora si mettano toppe: è mancanza di visione, di progettazione. E se non c’è un sistema, prende la scena il 'non sistema'; se le istituzioni non funzionano ognuno fa come gli pare.
Obama dice: «Siamo l’ultima generazione che può fare qualcosa». No, siamo già in ritardo e molti dei nostri errori hanno già causato danni irreversibili. Penso ai cambiamenti climatici, penso a un sistema compromesso, a specie scomparse. C’è incuria verso la casa comune che si lega a ingiustizia, a povertà, a fame. A mali valutati quasi fisiologici, considerati quasi normali, raccontati senza che facciano scandalo, senza che provochino indignazione. L’individualismo fa dire: «Non è un problema mio».
Chi domenica marcerà cosa potrà dire e cosa potrà fare? Potrà dissociarsi, dire «io non ci sto». Potrà mostrare da che parte vuole essere. Potrà camminare, fianco a fianco, con i poveri, i carcerati, i disperati. E vivere per un solo giorno quella che dovrebbe essere la scelta di tutti i giorni. Cominciare da coloro che sono più vittime per disinquinare una città e una 'casa comune' così segnata dallo sfruttamento. Sono scarti umani perché qualcuno li ha sfruttati: dietro a scelte tristi c’è sempre dietro un’ancora più triste logica di profitto.
Domenica molti grideranno il loro no. Per questo è importante andare. Per mostrare una scelta e per aiutarci a viverla. Per dimostrare di non essere passivi, per rendere forte la voglia di cambiamento. E per credere in un risultato: non accettare più l’inquinamento come normale. L’inquinamento del pianeta e l’inquinamento delle anime. I cittadini di Roma e i cittadini del mondo non si devono abituare ad accettare lo smog.
Presto lascerà Roma e dal 12 dicembre sarà Arcivescovo a Bologna: che cosa dice alla sua comunità? Nel Vangelo perdere è sempre conservare. Lascio la Capitale con questa consapevolezza: conservo il tanto amore che ho ricevuto da questa chiesa di Roma.