Dunque esiste. Che si tratti del “vero” Bosone di Higgs o di una sua variante, dopo oltre quarant’anni i ricercatori del Cern sono riusciti a vederlo. Cosa cambia per la scienza?L’annuncio tanto atteso della scoperta della particella di Higgs - ci risponde Ugo Amaldi, che ha lavorato a lungo al Cern e oggi dirige la Fondazione Tera - chiude la fisica del XX secolo, che si era aperta nel 1900 con l’ipotesi di Planck dell’esistenza dei quanti. I successivi sviluppi basati sulla fisica quantistica e sulla relatività ristretta di Einstein ci permettevano di descrivere sia le particelle che compongono gli atomi sia quelle, molto più numerose, che si creano nelle collisioni che avvengono nei grandi acceleratori del Cern. Si tratta di una ventina di tipi di particelle che da molti decenni sono inquadrate in una teoria molto simmetrica, che i fisici chiamano il Modello Standard. Finora mancava un tassello per completare questa descrizione. L’annuncio di oggi dice che al Lhc sono stati "visti" decadere nei due grandi rilevatori, Atlas e Cms, centinaia di esemplari del bosone di Higgs. Queste particelle non sono importanti in sé, ma sono la manifestazione certa dell’esistenza, in tutto lo spazio e fin dal primo istante del Big Bang, del campo di Higgs, il quale, interagendo con tutte le altre particelle, dà loro una massa ben specifica. Per questo motivo la scoperta è tanto importante.
È esagerato dire che cambierà la nostra visione dell’universo?No, perché la conseguenza più importante riguarda la cosmogonia, cioè la descrizione di come il cosmo si sia sviluppato, a partire da un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang, espandendosi e raffreddandosi. Adesso sappiamo che nella zuppa cosmica, vecchia soltanto di un decimo di miliardesimo di secondo, erano presenti insieme a tutte le altre particelle già note, anche i bosoni di Higgs i quali, insieme alle altre particelle, hanno determinato lo sviluppo del cosmo primordiale.
La gente si chiederà: già, ma per me cosa cambia?Il campo di Higgs, purtroppo, non risolve la crisi né il problema del debito pubblico; tuttavia, da ora in poi nelle scuole e nelle università si insegnerà questa visione unificata delle particelle fondamentali e delle forze che si chiama Modello Standard e che finora era soltanto un’ipotesi. Di conseguenze "pratiche" e dirette del campo di Higgs forse non ne vedremo mai - ma lo stesso si diceva della relatività generale cent’anni fa e adesso essa interviene nel funzionamento del GPS. E comunque abbiamo già visto, e ancor più vedremo, le conseguenze pratiche delle tecnologie messe a punto al Cern per costruire il Lhc e i suoi rilevatori. Per esempio, i nuovi potenti mezzi di calcolo utilizzati, mi riferisco alla rete mondiale Grid, tra non molto saranno a disposizione di tutti.
L’acceleratore che ha “fotografato” il bosone non lavora ancora al massimo della sua potenza: dove ci porterà?Le rilevazioni effettuate non sono sufficienti per determinare tutte le proprietà del bosone e per controllare che coincidano con quelle attese: saranno necessari molti anni . Già oggi alcuni dei dati sembrano presentare qualche anomalia, che probabilmente sparirà raccogliendo altre informazioni, proprio sfruttando la potenza del Lhc. Se poi non fosse così, i fisici sarebbero ancora più contenti perché vorrebbe dire che le cose non sono esattamente come previste dal Modello Standard e che dietro l’angolo potrebbe esserci la scoperta di fenomeni nuovi. Proprio perché non abbiamo ancora utilizzato tutti gli strumenti di cui disponiamo, questa appassionante avventura della conoscenza non è finita.
Bertolucci, Gianotti, Tonelli... Anche quest’esperimento parla italiano. Qual è il segreto della nostra scuola di fisica?La fisica italiana ha una grande tradizione che nasce prima della seconda guerra mondiale con i gruppi di Roma e Firenze guidati da Enrico Fermi e Bruno Rossi. Questa tradizione è stata rilanciata negli anni Cinquanta, quando Gilberto Bernardini ed Edoardo Amaldi promossero la fondazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che lavora in stretta relazione con le Università e nel quale la selezione dei programmi avviene per merito, beneficiando dell’integrazione tra i nostri gruppi di ricerca e quelli internazionali resa possibile proprio dal Cern. Giova ricordare che l’Italia è il primo utilizzatore di questo straordinario laboratorio europeo.