Brescia. Alzheimer, i percorsi oltre la malattia. Così si coinvolgono le famiglie
Uno dei macchinari per i malati di Alzheimer in adozione all'Irccs Fatebenefratelli di Brescia
Anziani disorientati e confusi che non riescono più a ritrovare la strada di casa, dimenticano parole, cose e nomi delle persone care e cancellano dai loro ricordi eventi vissuti di recente. Si tratta di “over 65” che perdono il senso del tempo, del luogo e della realtà e, giorno dopo giorno, diventano sempre più incapaci di svolgere le normali attività quotidiane manifestando disturbi mentali e repentini cambiamenti d’umore.
Secondo i più recenti dati Istat, gli italiani affetti dal morbo di Alzheimer (il 21 settembre è la Giornata mondiale indetta dall’Oms) sono circa 600mila, sul totale di un milione di pazienti a cui sono stati diagnosticati sintomi di demenze. Oltre tre milioni sono invece i coniugi, i figli, i nipoti o i fratelli che assistono o si prendono cura di un loro congiunto con patologie di questo tipo. L’Alzheimer, peraltro, è una malattia cronica e degenerativa che ai suoi esordi risulta molto spesso di difficile individuazione. Seicentomila casi, ma il numero, con il progressivo invecchiamento della popolazione previsto nei prossimi anni, è destinato ad aumentare: si stima infatti che saranno circa 2 milioni e mezzo entro il 2050.
Non sono ancora stati compresi tutti i meccanismi che causano la malattia di Alzheimer, sulla quale influiscono di sicuro l’età e gli stili di vita, ma la ricerca scientifica anche in questo campo fa passi da gigante, grazie ad esperienze di alto livello come quella bresciana dell’Irccs dell’ordine ospedaliero San Giovanni di Dio, proprietà della Provincia Lombardo Veneta dei frati di “Fatebenefratelli”, guidata dal priore fra’ Gennaro Simarò. La struttura, diretta da Renzo Baldo, è un “avamposto” a livello nazionale anche per la diagnosi e la cura di tutte le malattie psichiatriche e dei disturbi neurocognitivi: conta 60 posti letto, di cui 40 nell’ambito dell’Alzheimer e 400 tra dipendenti e collaboratori di ricerca. I ricoveri, qui, sono circa 650 l’anno (in netta prevalenza di cittadini lombardi) e 25mila le prestazioni ambulatoriali erogate a pazienti che arrivano da ogni parte del Paese. La direzione sanitaria dell’Istituto è affidata a Lucia Avigo.
Il modello seguito dall’Irccs di Brescia è quello dell’integrazione tra strategie terapeutiche e pratiche socio-assistenziali innovative che coinvolgono sempre, insieme con i pazienti, le loro famiglie. «Il nostro istituto è tra i pochi in Italia che studia in modo rigoroso e integrato le caratteristiche dei caregiver e gli effetti degli interventi a loro indirizzati, grazie a finanziamenti territoriali e internazionali» spiega Cristina Festari, responsabile di un progetto di ricerca sostenuto dall’Alzheimer Association e finalizzato a sviluppare nuovi interventi attraverso le più moderne tecnologie. «Il “Fatebenefratelli” ha sempre avuto un’attenzione particolare per i familiari dei malati che sappiamo soffrire con loro – aggiunge Festari – e lo fa attraverso iniziative del reparto Mac (Macroattività ambulatoriale complessa) in cui si formano gruppi di mutuo aiuto gestiti da personale interno e negli ultimi due anni si interviene con la ricerca, cioè supportati dai dati, per individuare nuovi servizi: sono stati creati protocolli di psico-educazione con informazioni sui i sintomi della malattia, per esempio, e su cosa essi comportano, così i parenti si sentono più sollevati e capaci di affrontare le difficoltà legate all’assistenza del loro caro. La collaborazione tra il familiare e il clinico servirà inoltre anche a tenere il paziente il più possibile a casa, alleviando in tal modo anche il sistema sanitario».
«Nell’ambito della terapia di riabilitazione neuro-psicologica e del linguaggio abbiamo un costante rapporto con i clinici – afferma la psicologa e ricercatrice Maria Cotelli – al fine di adottare trattamenti individualizzati anche attraverso la telemedicina, che consente di intensificare la cura e raggiungere a domicilio il paziente usando apparecchiature speciali come lo schermo dotato di un algoritmo avanzato che corregge le performance del paziente all’inizio supportato da un addetto facilitatore». È la “teleriabilitazione mista”, con sedute effettuate sia in laboratorio che a casa. Gli esercizi vengono registrati per essere sottoposti alla supervisione di un’équipe di esperti dei vari settori medici, psicologici e riabilitativi.
L’Alzheimer non ha ancora una cura e ogni intervento terapeutico mira a rallentare il processo di degenerazione cerebrale che accompagna la malattia. «Non esistono rimedi neppure dal punto di vista farmacologico, se non alcuni di tipo sintomatico che funzionano però nel 30% dei pazienti – specifica la geriatra dell’Istituto, Cristina Geroldi – e che talvolta possono addirittura peggiorare la situazione sul piano dei comportamenti, con conseguenze nell’umore e nelle reazioni emotive del paziente: una irritabilità chimica che si risolve togliendo il farmaco».
«Presto però avremo a disposizione due farmaci specifici per la cura dell’Alzheimer e noi, grazie alle nostre ricerche – riferisce il responsabile della linea di ricerca dell’Istituto bresciano, il neurologo Giuliano Binetti – saremo pronti a indirizzare i pazienti verso questi prodotti: stiamo contribuendo allo studio sulla validazione dei marcatori per poter ottenere diagnosi precise e creare profili sempre più adeguati alla diagnosi precoce. Il nostro – conclude Binetti – è anche un centro di intervento per la diagnosi genetica: abbiamo in carico circa 300 famiglie in tutto il territorio italiano per lo studio sulla ereditarietà della malattia: è un punto nodale anche per la ricerca farmacologica».