Attualità

Roma-Bruxelles. Alta tensione sul salva-banche

Nicola Pini giovedì 10 dicembre 2015
Con il decreto del governo inserito nella legge di stabilità il sistema bancario italiano metterà sul piatto 3,6 miliardi di euro per il salvataggio di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti. L’operazione non tutela però i titolari di obbligazioni subordinate (non garantite) e gli azionisti. A essere coinvolte sono circa 130mila persone, con perdite complessive per circa 1,5 miliardi. Mentre il valore delle obbligazioni è di quasi 800 milioni, dei quali circa 350 in mano a 10.500 piccoli risparmiatori. Ieri si è appreso di un 68enne che si è tolto la vita il 28 novembre a Civitavecchia: lo avrebbe fatto, secondo un biglietto ritrovato dalla moglie, proprio per aver perso una somma ingente in seguito al tracollo di Banca Etruria. Intanto è emerso che i vertici delle 4 banche costano 2,4 milioni. Ammontano infatti in media a 600mila euro i compensi annuali per i Cda e i collegi sindacali dei quattro istituti salvati dal decreto del governo. Nella somma è compreso lo stipendio da 400mila euro del presidente Roberto Nicastro.Mentre il governo è impegnato a trovare una strada per dare un po’ «ristoro » ai risparmiatori beffati senza violare le regole europee, è scontro a distanza sull’asse Roma-Bruxelles sulla strada scelta per l’operazione di salvataggio delle quattro banche italiane coinvolte (Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara). Un intervento finito al centro delle polemiche perché ha travolto anche i bond non garantiti in mano a tanti piccoli investitori. La vicenda sta diventando sempre più incandescente dopo che ieri l’Associazione «vittime del salva-banche» ha diffuso la notizia del suicidio di un pensionato di Civitavecchia, che avrebbe perso 100mila euro nell’operazione. In un’audizione in commissione Finanze della Camera, il Capo della Vigilanza della Banca D’Italia Carmelo Barbagallo ha ricostruito le fasi dell’intervento affermando che «non è stato possibile» utilizzare «il Fondo interbancario di tutela dei depositi per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea e da noi non condivisa». L’uso del Fondo avrebbe consentito secondo il dirigente di Bankitalia di «porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche». Bloccata questa strada, si è fatta «la scelta meno cruenta» anche perché se si fosse arrivati al primo gennaio 2016 sarebbe scattato il bail-in e la situazione sarebbe stata «devastante».La replica dei portavoce dell’esecutivo Ue non si è fatta attendere. La decisione di optare per il diverso fondo nazionale di risoluzione «è stata presa dalle autorità italiane», ha sottolineato un portavoce della Commissione precisando che «se vengono usati fondi di Stato per sostenere le banche, indipendentemente da dove essi provengano, si applicano le norme Ue»: si tratta di regole che vietano gli aiuti di Stato e prescrivono il «principio di condivisione degli oneri» in base al quale «i proprietari delle banche e i creditori junior contribuiscono pienamente a minimizzare la quantità di aiuti». Insomma, secondo la Ue, gli interessi dei possessori delle obbligazioni subordinate sarebbero stati comunque colpiti. Sempre parlando alla Camera il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini si è smarcato da Via Nazionale affermando che in base alle valutazioni giurisprudenziali dell’associazione il Fondo di tutela depositi sarebbe potuto intervenire. Mentre il presidente Antonio Patuelli ha rassicurato gli obbligazionisti dei quattro istituti facendo loro sapere che potranno in ultima istanza ricorre alla magistratura per far valere i loro diritti. Il decreto salva-banche è stato assorbito nella legge di stabilità e dovrebbe essere ora modificato nel passaggio alla Camera. Il governo  sta studiando le modalità per dare un aiuto ai risparmiatori ma sotto la forma di aiuto «umanitario». Finora si è parlato di un fondo da 100 milioni di euro (per due terzi messi dalle banche) sui 350 di perdite dei piccoli obbligazionisti. Per quanto riguarda il resto della manovra, ieri il governo ha presentato l’atteso emendamento per incentivare l’economia del Sud. Con uno stanziamento da 600 milioni l’anno fino al 2019 sarà finanziato un credito di imposta sugli investimenti. Lo sconto fiscale avrà tre fasce: 10% per le grandi imprese (per investimenti fino a 15 milioni), 15% per le medie (fino a 5 milioni) e 20% per le piccole imprese, con limite a 1,5 milioni. Per la misura sono stanziati 600 milioni l’anno fino al 2019. La copertura arriverà in parte dal Fondo di sviluppo e coesione.