Allarme Dia. Mafie all'attacco di Comuni e sanità, sfruttando Covid e disagio sociale
Uomini della Dia in azione a Reggio Calabria pochi giorni fa
L’allarme è sempre quello. Cominciamo dalla fine, le conclusioni della Direzione investigativa antimafia: “Oltre alle aziende in difficoltà finanziaria, sarà la pubblica amministrazione quella più esposta agli interessi delle organizzazioni criminali, a partire proprio dai Comuni, che potrebbero beneficiare di forti somme di denaro da impiegare in appalti e servizi pubblici”.
Ma stavolta un allarme assai ingigantito da quanto accaduto, dall’emergenza Covid: il periodo è ghiotto, le mafie faranno qualsiasi cosa per entrare nell’economia e nelle istituzioni, mettendo le mani sulla prima e le loro teste di legno a gestire le seconde.
Andiamo per ordine, adesso. "In primo luogo - scrive la Dia nella sua ultima Relazione, consegnata stamane al Parlamento - una particolare attenzione deve essere rivolta, sul piano sociale, al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica”. Perché le mafie possono avere gran voglia d’approfittarne: “È evidente che le organizzazioni criminali hanno tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana - si legge nella relazione -, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud. Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico”. Anche questa non è una novità, le mafie, più che un vero e proprio antistato, come stato parallelo.
Nulla d’improvvisato, piuttosto semplice strategia costruita a tavolino: “Si tratta di un vero e proprio investimento sul consenso sociale - annota la Dia - che se da un lato fa crescere la “rispettabilità” del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come “pacchetti di voti” in occasione di future elezioni”. A seguire, nel mirino delle mafie non possono che esserci gli appalti pubblici, “settore fondamentale per il rilancio dell’economia nazionale. Vedrà investimenti che riguarderanno auspicabilmente tutto il territorio nazionale, fino al livello comunale”, precisa la Dia. Appunto, torta enorme su cui provare a mettere le mani, che siano sporche o apparentemente pulite.
Nessuna zona franca. Il risultato, avvisa la Direzione investigativa antimafia, è che “le organizzazioni criminali potrebbero sfruttare i nuovi canali di finanziamento e i fondi che verranno appostati per la realizzazione e il potenziamento di opere e infrastrutture, anche digitali”. Esempi? “La rete viaria, le opere di contenimento del rischio idrogeologico, le reti di collegamento telematico, le opere necessarie per una generale riconversione alla green economy e tutto il cosiddetto ‘ciclo del cemento’”.
Fin qui la politica, necessaria, vitale, alla criminalità. Poi c’è l’economia legale e anche qui la tranquillità va messa da parte: “La semplificazione delle procedure di affidamento, in molti casi legate a situazioni di necessità ed urgenza, potrebbe favorire l’infiltrazione delle organizzazioni criminali negli apparati amministrativi, specie di quelli connessi al settore sanitario”, scrive la Dia.
Del resto, quello sanitario è “un polo d’interessi appetibile sia per le consistenti risorse di cui è destinatario, sia per l’assistenzialismo e il controllo sociale che può garantire”. La preoccupazione oltre tutto è doppia: lo smaltimento di rifiuti speciali, “settore notoriamente d’interesse della criminalità organizzata”, e i “prevedibili importanti investimenti criminali nelle società operanti nel “ciclo della sanità”. Senza dimenticare, né trascurare, “la contraffazione dei prodotti sanitari e dei farmaci”.
Non solo non si salveranno nemmeno i comparti in crisi, ma per le criminalità organizzate proprio questi sono i migliori sui quali investire. Il turismo, la ristorazione e i servizi connessi alla persona sono tra i settori che hanno più risentito del lockdown, quelli che faranno registrare una netta diminuzione del fatturato dovuta alla prospettiva di una stagione estiva difficile, “per affrontare la quale, in molti casi, sono stati già fatti investimenti e ristrutturazioni immobiliari, i cui costi dovranno comunque essere sostenuti”. Morale? Ci sarà “una diffusa mancanza di liquidità - spiega la Dia nella sua Relazione - che espone molti commercianti all’usura, con un conseguente rischio di impossessamento delle attività economiche con finalità di riciclaggio e di reimpiego dei capitali illeciti”. E i rischi più grandi li correranno “gli alberghi, i ristoranti e i bar, i bed & breakfast, le case vacanze e simili, i centri benessere e le agenzie di viaggi”. Come anche “il settore dell’abbigliamento e quello della vendita e noleggio di autoveicoli”.
Altro capitolo, quello della filiera agroalimentare, compresi trasporto, distribuzione e la vendita. “Per quanto abbia sofferto la chiusura della rete commerciale dei ristoranti e quella alberghiera”, la filiera agroalimentare “è stata l’unico motore economico del Paese a regime durante il lockdown”. Eppure “lo stato di generale difficoltà finanziaria potrebbe favorire l’insorgenza di situazioni di monopolio nelle attività di produzione, fornitura e distribuzione dei prodotti alimentari e ortofrutticoli”, che produrrebbe inevitabilmente “ingerenze o forme estorsive di stampo mafioso”.
Situazione delicatissima, infine: l’azzardo. “Con la sospensione delle attività di raccolta “fisica” di gioco è stata registrata un’espansione della domanda nel comparto dei giochi on line. Così è possibile che “la criminalità, organizzata ed economica, possa ampliare la propria offerta nel settore, attraverso piattaforme telematiche e siti di gioco non autorizzati”. E del resto - va avanti la Dia - “i risultati di diverse indagini svolte sul settore attestano come la criminalità organizzata si sia dotata di “strutture parallele” con le quali esercita l’offerta illegale di giochi e scommesse, sia attraverso centri scommesse occultati da semplici centri di trasmissione dati, sia attraverso siti per il gioco e le scommesse on line, i cui server sono spesso posti in Paesi off-shore o a fiscalità privilegiata” e che molto spesso “non offrono forme di collaborazione giudiziaria o di polizia”.