La storia. Alice, una vita per gli altri. E ora una laurea alla memoria
I genitori di Alice e la sorella, con in mano l'attestato di laurea conferito alla sorella
«It’s a beautiful day to save lives». Oggi è un giorno bellissimo per salvare una vita. In questa frase che Alice Fraternali si era fatta tatuare sul braccio, sta il significato più profondo della sua breve esistenza: essere un dono per gli altri. Il 24 agosto scorso un melanoma maligno, scoperto tre anni prima, l’ha strappata a soli 19 anni dall’amore della sua famiglia e dei tanti amici e compagni di studio e l’Università Politecnica delle Marche di Ancona ha voluto conferirle una “laurea alla memoria” in Infermieristica. «Un titolo che va alle persone eccezionali e che non ricordo sia mai stato assegnato qui», spiega Mauro Silvestrini, preside della Facoltà di medicina e chirurgia dell’ateneo dorico.
Alice, nata a Pesaro il 13 dicembre 2003, viveva con mamma Natascia, papà Claudio e la sorella Emma di 15 anni. Aveva studiato al liceo linguistico “Mamiani” di Pesaro dove si era diplomata. Quindi la scelta della facoltà di infermieristica dove per sole due settimane non era riuscita a concludere il primo anno. Era stata spinta a intraprendere questi studi proprio dalla sua malattia. «Nella sorte avversa – dicono i genitori – si è sentita amata da medici, infermieri, personale sanitario: per questo Alice voleva restituire tanto quanto le era stato dato, e anche più…». Ma non ne ha avuto la possibilità. «Alice ci ha regalato qualità insostituibili – dice Silvestrini – lasciando in tutti gli operatori la memoria di una persona straordinaria. Perciò ora vogliamo che viva per sempre in questa facoltà e che ci aiuti a ricordare quanto sia importante l’aspetto umano e la forza di volontà».
«Ho voluto ricordarla per il suo grande desiderio di aiutare gli altri – ha detto il rettore Gian Luca Gregori –, soprattutto chi soffre, un sentimento che l’aveva guidata anche nelle sue scelte personali a cominciare dall’impegno in parrocchia che ci fa capire il suo animo e il suo valore». La ragazza infatti era anche animatrice all’oratorio di Borgo Santa Maria e non si tirava mai indietro nell’aiutare il prossimo. Ma si lasciava coinvolgere anche in esperienze ecumeniche giovanili a livello europeo. Essere infermiera era la sua vocazione: per questo ha continuato a vivere da sola ad Ancona e svolgere il tirocinio in ospedale anche se non riusciva più neppure a mangiare. La mamma è andata a prenderla quando non si reggeva più in piedi. Ma continuava a servire gli altri in ospedale come se nulla fosse. Non aveva neppure informato i suoi professori che stava male.
«Quando ci hanno informati che le sarebbe stata assegnata la laurea alla memoria – spiega mamma Natascia – sono scoppiata a piangere dalla gioia perché sapevo quanto Alice ci tenesse: voleva salvare vite nonostante la sua si stesse spegnendo. Così abbiamo deciso di donare alla Fondazione dell’ospedale “Salesi” di Ancona tutto ciò che siamo riusciti a raccogliere al funerale e al rosario, perché l’ospedale è stato per Alice una seconda casa».
«La fede ci ha aiutato – proseguono i genitori – e don Giorgio Paolini ci è stato sempre vicino. È stato come un rifugio che ci ha salvato, insieme a un gruppo di amici che ci sostiene tuttora». Era la forza segreta di Alice, spiega don Paolini: «interiormente attratta dalla Pasqua di morte e risurrezione di Gesù, si esercitava a non chiudersi egoisticamente nel suo dolore, ma a trasformare la croce del suo male in opportunità per un amore più grande. Da questo derivava l’attenzione a non fare pesare sugli altri il proprio dolore, a distribuire comunque sorrisi, a incoraggiare e sostenere chi era nella prova».