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IL CASO LOMBARDIA. Alfano e Maroni: «Restiamo uniti, la tempesta è solo all'inizio»

Marco Iasevoli venerdì 12 ottobre 2012
​Alfano e Maroni, uniti da una solida affinità maturata negli anni di governo insieme, si guardano negli occhi: «Sappiamo che la tempesta è appena iniziata. Dobbiamo studiare una strategia per evitare che travolga Lega e Pdl...». Dalla necessità di prendere tempo e riflettere a fondo nasce la tregua. Che non cancella affatto l’ipotesi del voto ad aprile, come confermato dalla poderosa accelerazione data alla riforma elettorale regionale.La trattativa a tre è davvero difficile. Maroni ce l’ha con le minacce di Formigoni contro le giunte "verdi" di Piemonte e Veneto. Formigoni ce l’ha con Matteo Salvini, il più deciso a chiedere il voto anticipato e la testa del governatore. Il risultato è che il presidente della Regione non intende fare passi indietro, nonostante Silvio Berlusconi, di solito prodigo di rassicurazioni per i suoi uomini, stavolta preferisca il silenzio assoluto. Anche a Palazzo Grazioli è giunta voce di nuovi, imminenti risvolti giudiziari, se possibile ancora più gravi di quelli già venuti alla luce. Considerando quanto accaduto nel Lazio, il Cavaliere non vuole che si inneschino altre emorragie di voti. Perciò la decisione di andare avanti deve apparire, il più possibile, una specifica volontà del governatore.Alla fine si sceglie la via di mezzo, che non è né una resa né un rilancio definitivo per completare la legislatura. D’altra parte anche Maroni ha le sue grane. Umberto Bossi, che nel partito parla eccome, ha messo in guardia tutti, con una certa presa: «Guardate che stanno attaccando le nostre Regioni, è un piano, stiamo prestando il fianco». E in pubblico aveva detto chiaramente che lui, fosse Formigoni, non si dimetterebbe. Il Senatur ha dunque frenato i Maroni-boys e il popolo delle ramazze, disposto alla traversata solitaria pur di lasciare nel fango il solo Pdl.Bobo ha mediato, e medierà anche domani al Consiglio federale, vantando i risultati raggiunti (il programma della nuova giunta sarà di fatto il programma della Lega) e l’estraneità dei suoi uomini al caso-’ndrangheta (ieri il segretario leghista ha citato la vicenda di Tizzoni, il padano che ha rifiutato i voti delle cosche). Non può fare altro, anche perché i suoi sondaggi non sono rassicuranti. E poi il filo con il Pdl non può essere troncato né in chiave regionale - è nota l’ambizione del Carroccio di governare la Lombardia - né in chiave nazionale (Maroni guarda con misurato interesse al passo indietro di Berlusconi).Di tempo ha bisogno anche Formigoni, che dopo anni al Pirellone costellati da «riconosciuti successi» non vuole finire in modo inglorioso. «Al voto - dicono fonti Pdl - si può anche andare, ma con Roberto pienamente in sella e pronto a giocare un ruolo nazionale». In Parlamento, si sottintende.