Milano. Alessia Pifferi condannata all'ergastolo per la morte della figlioletta Diana
Alessia Pifferi in corte d'Assise a Milano
Anche dopo la sentenza che l'ha condannata all'ergastolo per l'omicidio della figlia Diana, Alessia Pifferi è stata portata fuori dall'aula come vi è sempre stata. Con poche o nulle emozioni, con l'aria frastornata, e senza forse nemmeno aver capito bene fino all'ultimo, almeno finché la sua avvocata, Alessia Pontenani, si è voltata verso di lei confermandole a gli occhi sbarrati che il verdetto era quello peggiore (a parte la premeditazione, non riconosciuta): ergastolo.
«Cosa mi ha detto Pifferi? Era molto dispiaciuta per l'atteggiamento della sorella e della mamma perché quando il presidente ha detto "ergastolo" si è capito che stavano festeggiando. Poi non ha ben compreso il problema economico, perché ha detto "io non ho soldi", allora le ho spiegato che l'unica cosa che possono prenderle è quel pezzettino di casa». In via Parea, a Ponte Lambro, dove la piccola Diana venne abbandonata dalla madre, andata a Leffe a trovare l'ignaro compagno, dal 14 al 20 luglio 2022, trovando la morte per stenti. Pifferi, oltre a essere stata condannata per omicidio volontario, con le aggravanti dei futili motivi e del vincolo familiare, a pena espiata dovrà scontare due anni di sorveglianza speciale, e versare 20 e 50mila euro alla mamma e sorella (motivo della sua preoccupazione). Questa la decisione della Corte d’assise presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini in tre ore di camera di consiglio.
La legale di Pifferi ha detto che la decisione di fare appello è scontata e che chiederà una nuova perizia. «Non è stato un processo sereno», ha aggiunto Pontenani, riferendosi al fatto che lei stessa insieme alle psicologhe del carcere sono state indagate per falso dallo stesso pm Francesco De Tommasi in relazione ai test fatti in carcere alla detenuta. «Ho visto una donna che ha recitato una parte, mi aspettavo l'ergastolo», ha detto in aula il pm. L'ultima udienza, in cui hanno preso la parola l'avvocato di parte civile Emanuele De Mitri e la difesa dell'imputata, è stata anche quella in cui sono state ripercorse le vicissitudini familiari e dove talvolta hanno trovato sfogo anche i rancori.
«Sì è dimenticata di essere una mamma. Deve pagare per quello che ha fatto. Se si fosse pentita e mi avesse chiesto scusa ma non l'ha fatto», ha detto la madre di Alessia Pifferi (e nonna di Diana), lamentando a sua volta le accuse che la figlia le ha rivolto di non essersi occupata di lei. «Penso che i giudici abbiano fatto quello che è giusto, perché per me non ha mai avuto attenuanti, non è mai stata matta o con problemi psicologici. Ora non so neanche dire cosa provo, è una cosa stranissima. Spero che adesso Diana possa volare via in pace», ha detto invece la sorella, Viviana.
Tutti hanno pianto in aula, anche Alessia Pifferi (affetta da alessitimia, non la si era mai vista finora versare una lacrima). "Hanno detto che non piangeva mai, e ora invece piange. Questa sarebbe una persona incapace di intendere?", ha fatto notare il pm in aula. Pifferi ha pianto quando ha sentito ricapitolare la sua infanzia difficile, sola in casa, isolata a scuola e senza amiche né amici. La madre ha pianto ed è uscita dall'aula quando l'avvocata ha detto che forse la famiglia non aveva capito i problemi della figlia, se ad un certo punto rifiutò l'insegnante di sostegno. La sorella ha pianto quando è stata chiamata in causa per aver troncato i rapporti con la sorella, da unica parente che aveva a Milano (la madre s'era rifatta una vita in Calabria dopo la morte del padre). Tutti hanno pianto per se stessi, per la propria vita passata, e per come sono andate le cose.
«Vi è stata raccontata una storia che non trova riscontri in questo processo - ha concluso il pm nelle contro repliche rivolgendosi alla corte d'Assise -. Alessia Pifferi vi è stata descritta come una vittima e una bambina. In questo processo c'è un'unica bambina che si chiama Diana e c'è un'unica vittima che si chiama Diana».