Al Franco Parenti. «Apriamo le porte del teatro a chi condanna il terrorismo»
Andrée Ruth Shammah
«Se c’è un palestinese che vuole raccontare la sua storia, o anche contestare, venga sul palcoscenico del Parenti, le porte del teatro saranno aperte anche per lui, come lo sono state per altri. Ma a una condizione: che condanni Hamas e chieda di liberare gli ostaggi». Secondo Andrée Ruth Shammah, regista, drammaturga, direttore artistico del Teatro Franco Parenti di Milano, città dove è arrivata alla fine degli anni Quaranta con la famiglia di origini ebree sefardite in fuga da Aleppo a causa del “pogrom” dopo la creazione della repubblica indipendente di Siria, « non bisogna farsi manipolare dalla propaganda terroristica del gruppo guidato da Isma’il Haniyeh perché questa è la più terribile caccia all’ebreo dopo la Shoah e l’Occidente deve rendersene conto: hanno detto che vogliono ucciderci tutti. Anche gli arabi, però, devono alzare la voce contro questo incitamento allo sterminio».
Signora Shammah, che giudizio dà della nuova guerra che potrebbe allargarsi entro breve tempo a tutta l’area mediorientale?
Nessun giudizio, basta guardare i fatti. Tutto quello che sta accadendo in Israele e nella Striscia di Gaza non va considerato come una vendetta reciproca, non sono i popoli che litigano, è solo una questione di terrorismo. Anche se dietro c’è la mano dell’Iran con il suo governo oscurantista che fa frustare e uccidere le ragazze che portano i capelli fuori dall’hijab. E basterebbe solo questo per arrabbiarsi.
Non si tratta dunque, secondo lei, dell’antica “questione palestinese” che riesplode ora con molta più rabbia?
Come dicevo, non è di certo una “questione” che riguarda il popolo israeliano, il quale desidera da sempre la pace. L’importante adesso è non cascare nella logica del terrore, non bisogna fare il gioco di Hamas e lasciarsi prendere dal panico. So che è difficile ma è necessario anche per affermare un dialogo costruttivo, sempre possibile come dimostra la storia stessa del nostro teatro di via Pier Lombardo, fondato nel 1972 dal comunista Franco Parenti, dal cattolico Giovanni Testori e da me, con Dante Isella e Gian Maurizio Fercioni. È un luogo di riflessione e dibattito dove da cinquant’anni si incontrano e si incrociano culture diverse, laiche o religiose che siano.
Come vive lei personalmente questi giorni di tensione e terrore per le minacce rivolte da Hamas a tutti gli ebrei?
Continuo a fare il mio lavoro senza chiudere gli occhi. Io non voglio far vincere i terroristi e in teatro porto avanti quello che avevamo programmato da tempo, il piccolo “Festival internazionale di Israele” e la rassegna “Energie da Tel Aviv”, per esempio, iniziative pensate per far conoscere a tutti la cultura e le tradizioni ebraiche che esaltano la vita. Si tratta di incontri, conferenze e spettacoli dove si esprime anche la gioia e si ride. Non cancello gli appuntamenti in cartellone che avevamo deciso. Sono un segno che può aiutare ad aprire il cuore e la mente, se non si è in malafede. Non molliamo niente, non vogliamo rinchiuderci nel ghetto.
Però esiste uno “stato di allerta” che non può essere sottovalutato, ci sono delle aree a forte rischio attentati, in tutta Europa, a Parigi, Bruxelles e quindi anche a Milano dove esistono sinagoghe e centri di preghiera ebraici.
Certo. Le dice niente che tutte le questure d’Italia hanno chiesto alle comunità ebraiche di evitare che gli uomini vadano in giro con la kippah in testa o con altri segni che possano far individuare la loro appartenenza alla nostra religione?
Che significa per lei la pace?
Noi ebrei quando salutiamo diciamo “Shalom” che, appunto, significa pace. Questa è la nostra cultura. La vita stessa per noi è la pace.
Che rapporto ha lei con la terra d’Israele?
È, per me, il senso di appartenenza, la memoria della mia famiglia: i miei genitori sono sepolti lì. Israele, e quindi l’ebraismo, è “mio padre che mette i tefellin, il suo bianco tallet che ondeggia nella luce del mattino”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Parla Andrée Ruth Shammah, ebrea sefardita, direttrice dello storico teatro milanese: «Attenti alla propaganda» Andrée Ruth Shammah