Attualità

Il documento. Cattolica e Gemelli: «Al biotestamento si deve far obiezione»

mercoledì 13 dicembre 2017

Ieri, nel giorno in cui ha preso il via il confronto al Senato attorno al disegno di legge sul biotestamento (le «Disposizioni anticipate di trattamento », o Dat), la Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e la Fondazione Policlinico universitario Gemelli di Roma hanno firmato un intervento congiunto che alla luce dell’esperienza clinica e accademica e di studi scientifici solleva alcuni rilevanti interrogativi sui possibili effetti della norma nella relazione tra medico e paziente, facendo propria poi la netta posizione dei vescovi americani sull’obiezione di coscienza alle «disposizioni anticipate»: «Se una Dat confligge » con l’insegnamento cattolico «si spiegherà perché la Dat non può essere onorata».

Ecco il testo integrale dell’intervento.

Le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) sono in dirittura d’arrivo per l’approvazione al Senato dopo quella avvenuta alla Camera. Quel che è certo è che il Testamento biologico ( Living will, le Dat statunitensi), adottato dagli Usa già nel 1991 soprattutto come strategia per supplire alle difficoltà di comunicazione circa le preferenze del paziente, non sembra aver risolto le criticità per la cui soluzione era stato varato. A circa 20 anni dalla implementazione di quella normativa si è iniziata, infatti, una nuova discussione sull’argomento. Tra le possibili cause del perdurare delle criticità si indicano, oltre alla cultura inadeguata degli operatori, la mancanza di chiarezza e il linguaggio vago della documentazione. Perché incerto è il terreno su cui ci si muove, da molti e da noi si sostiene per esperienza l’impossibilità di un intervento drastico quale quello rappresentato da una legge che avrebbe l’ambizione di regolare una condizione 'grigia' come il fine vita. Non a caso negli Usa, nonostante le dichiarazioni anticipate fossero state introdotte al fine di rispettare le decisioni del paziente, tale rispetto era ed è rimasto scarso (Dobalian A., Advance care planning documents in nursing facilities: results from a nationally representative survey, Arch Gerontol Geriatr. 2006;43:193-212). È poi oggi chiaro che le Dat sono soggette spesso a una interpretazione molto soggettiva da parte degli operatori sanitari, che decidono e si comportano diversamente sullo stesso caso e – fattore di decisiva riflessione che sottoponiamo all’attenzione di tutti – la stessa autodeterminazione e lo stesso orientamento del paziente mutano spesso nel tempo in funzione di variabili che includono il suo stato di salute, la presenza ed entità del dolore fisico, l’assiduità dell’assistenza da parte di familiari e caregivers (Horn R.J., Advance directives in english and french law: different concepts, different values, different societies, Health Care Anal. 2014 Mar;22(1):59-72. doi: 10.1007/s10728-012-0210-7).

D’altronde il processo assistenziale non si può risolvere in un protocollo da scomporre in procedure ed è sempre implicata una dimensione umana imprevedibile, non standardizzabile, non definitiva e che si gioca nella relazione personale paziente-famiglia- medico. Una conferma viene da una ricerca recentissima condotta in Italia sulle decisioni di fine vita in un ampio campione di persone anziane (Gruppo di Studio Sigg La cura nella fase terminale della vita, 2017): anche laddove la persona aveva già espresso in precedenza le sue volontà – pur senza un valore giuridico – voleva ugualmente rivederle (e spesso cambiarle in modo radicale) sia con il medico che con i familiari. Analogamente negli Usa la decisione rispetto alle proprie Dat cambiava nel tempo nelle persone in stato terminale, figurarsi poi nelle condizioni di gravi disabilità con sopravvivenza prolungata. Ne consegue che il problema di fondo è la comunicazione, che non può essere sostituita dalle caselle barrate di un formulario e che non si può improvvisare all’ultimo minuto, ma dovrebbe essere costruita via via in una relazione di cura all’interno della quale il desiderio del Paziente e dei suoi familiari si integri in una logica di rispetto reciproco con la sensibilità etica degli operatori sanitari. Noi operatori sanitari siamo 'formati' per cercare di guarire quando possibile e di assistere sempre e riaffermiamo il valore professionale del 'non-abbandono' (Back Al et al., Abandonment at the End of Life From Patient, Caregiver, Nurse, and Physician Perspectives Loss of Continuity and Lack of Closure, Arch Intern Med. 2009;169 -5-:474-479. ), che richiede di assicurare la continuità di cura sia per la disponibilità nella competenza che nella relazione terapeutica, ma anche di curare la conclusione di una tale relazione senza accanimenti terapeutici fino a rendersi presenti e disponibili ai familiari dopo il decesso. Sembra quanto mai auspicabile aderire all’invito di Papa Francesco: «...che si adotti un supplemento di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona... Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuove il bene comune » (Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti al Meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del Fine vita , 16-17 novembre 2017).

La legge in via di approvazione non prevede obiezione da parte dei medici anche quando dispone che nutrizione e idratazione siano atti terapeutici senza che ci sia alcuna evidenza di beneficio o nocumento nel morire non alimentati o idratati. In armonia con la Conferenza episcopale statunitense proporremo ai nostri pazienti che «in accordo con la legge informeremo i pazienti sui loro diritti per disporre di disposizioni avanzate di trattamento (Dat). Tuttavia non onoreremo una Dat contraria all’insegnamento cattolico. Se una Dat confligge con tale insegnamento si spiegherà perché la Dat non può essere onorata».