Attualità

Chiesa nel mirino. Agevolazioni, ecco la verità

Patrizia Clementi domenica 21 agosto 2011
Ormai è purtroppo consuetudine che almeno un paio di volte l’anno parta una pressante campagna mediatica contro i presunti privilegi di cui godrebbe la Chiesa cattolica. Le occasioni vengono spesso create ad arte con riferimento ad uno specifico aspetto (molto spesso l’esenzione dall’Ici), ma sono poi lo spunto per trattare polemicamente questioni molto diverse tra loro (8 per mille, agevolazioni fiscali, contributi alle attività). In questo modo si fa certo molto clamore, ma sicuramente poca corretta informazione. Cerchiamo quindi di fare chiarezza sul tema delle agevolazioni fiscali, nello specifico l’esenzione dall’Ici e la riduzione dell’Ires.Prima di esaminare le norme agevolative va però denunziata la duplice scorrettezza che ancora una volta contraddistingue le critiche. Per un verso si insiste ad indicare tra i principali destinatari dei benefici "il Vaticano" (che, tra l’altro, essendo uno Stato estero, non è soggetto all’ordinamento tributario italiano), o "la Conferenza episcopale italiana" (che è solo uno tra le migliaia di enti ecclesiastici e non certo il più conosciuto, neanche presso i credenti), mentre non vengono quasi mai citati i tanti enti della Chiesa cattolica diffusi sul territorio che i cittadini – compresi molti non praticanti – conoscono e apprezzano (come, ad esempio, le parrocchie). Inoltre si presentano le agevolazioni come se riguardassero solo gli enti ecclesiastici e non anche un’ampia platea di enti appartenenti al mondo dei cosiddetti enti non profit.Va inoltre segnalato come le stime sugli importi che corrisponderebbero alle agevolazioni siano del tutto prive di dati dimostrativi e sospettosamente alte. Vediamo ora brevemente le agevolazioni in questione.L’ESENZIONE ICILa norma contestata è quella che esenta gli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale, cioè quelli «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985. n. 222 [le attività di religione o di culto]» (art. 7, c. 1, lett. i, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504). La norma, quindi, richiede il contestuale verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività individuate; inoltre, come stabilito dopo le modifiche apportate al testo originario, l’esenzione «si intende applicabile alle attività [...] che non abbiano esclusivamente natura commerciale». (cfr. c. 2-bis dell’art. 7 del D.L.. n. 203/2005, come riformulato dall’art. 39 del D.L. 223/2006).Partendo dal dato normativo è facile verificare come una parte gran parte delle affermazioni riportate insistentemente sull’argomento siano del tutto errate. Non è vero che l’esenzione sia destinata a favorire solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica, dal momento che si applica a tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale gli enti ecclesiastici rientrano esattamente come molti altri soggetti del mondo del cosiddetto non profit come, ad esempio, le associazioni sportive dilettantistiche e quelle di promozione sociale, le organizzazioni di volontariato e le onlus, le fondazioni e le pro-loco, le organizzazioni non governative e gli enti pubblici territoriali, le aziende sanitarie e gli istituti previdenziali.Un’ulteriore inesattezza riguarda la delimitazione della tipologia di immobili oggetto di agevolazione: l’esenzione non riguarda tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali, ma solo quelli destinati – per intero – allo svolgimento delle attività che la legge prevede. In tutti gli altri casi (librerie, ristoranti, hotel, negozi e per le abitazioni concesse in locazione) l’imposta è dovuta.Inoltre, esattamente all’opposto di quanto si continua a sostenere, per usufruire dell’esenzione tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente; se in un’unità immobiliare si svolge un’attività rientrante nell’elenco unitamente ad un’attività che, invece, non vi figura, tutto l’immobile perde l’esenzione. Risulta così evidente l’assoluta falsità della denuncia che gli enti ecclesiastici "estorcano" l’esenzione inserendo una cappellina in un immobile non esente. In questi casi, infatti, l’intero immobile va assoggettato all’imposta, compresa la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all’esenzione.LO SCONTO IRESUn analogo discorso può essere fatto a proposito della riduzione dell’Ires (l’imposta sui redditi delle persone giuridiche): si tratta di un’agevolazione che riguarda molti enti non profit; l’articolo 6 del D.P.R. 601 del 1973 la prevede infatti, oltre che per gli enti ecclesiastici, per:1) gli enti di assistenza sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti ospedalieri, gli enti di assistenza e beneficenza;2) gli istituti di istruzione e gli istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, i corpi scientifici, le accademie, le fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali.3) gli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e loro consorzi. Hanno inoltre diritto all’aliquota agevolata anche le ex Ipab, come prevede l’art. 4, comma 2 del D.Lgs. 207 del 2001.Si può notare che si tratta di soggetti caratterizzati dalla rilevanza sociale delle loro attività in favore della collettività, circostanza che giustifica, anche sotto il profilo costituzionale, la previsione di agevolazioni fiscali.IN CONCLUSIONEDa ultimo una riflessione sulla necessità di risanare il bilancio pubblico anche ricorrendo all’eliminazione delle agevolazioni in questione che, come abbiamo visto, riguardano una vasta platea di soggetti non profit. Andrebbe considerato che la rinuncia al gettito da parte dello Stato (o dei comuni nel caso dell’Ici) non costituisce una privazione per la collettività, ma il sostegno a una meritoria opera i cui benefici ricadono innanzitutto sulla stessa comunità e che i bisogni a cui gli enti non riuscirebbero più a dare risposta dovrebbero essere, in un modo o nell’altro soddisfatti dall’ente pubblico, con aggravio dei conti pubblici.