La legge piemontese. Nosiglia: basta liti sterili sull’affido dei bambini
Come aiutare i minori più fragili, che hanno alla spalle famiglie disgregate, con problemi di conflittualità dilaniante, dipendenze, malattie psichiatriche, violenze e abusi? La legge prevede che, quando possibile, le famiglie siano sostenute con interventi opportuni di aiuto educativo ed economico. E quando non è possibile, i minori siano ospitati provvisoriamente in strutture d’accoglienza o vadano in affido familiare. Secondo il disegno di legge in discussione alla Regione Piemonte in sei casi su dieci gli allontanamenti dalle famiglie d’origine si potrebbero evitare con aiuti più puntuali e più efficaci ai genitori.
Ma il provvedimento che l’assessore alle politiche sociali e alla famiglia, Chiara Caucino (Lega), ha voluto intitolare "Allontanamento zero", ha sollevato ondate di critiche. L’hanno contestato le associazioni impegnate nel settore, un gruppo di docenti dell’Università di Torino e non solo, l’associazione dei magistrati minorili, gli avvocati e, domenica scorsa, nel corso di una manifestazione a tratti commovente, gli stessi ragazzi che arrivano da esperienze di affido e che, hanno spiegato come «senza quegli allontanamenti e senza le famiglie che ci hanno accolto la nostra vita sarebbe stata più difficile e più incerta».
Una sollevazione compatta di tutto il mondo del sostegno ai minori che deve aver fatto breccia nelle certezze dell’assessore Caucino se ieri, finalmente, ha dichiarato la sua disponibilità ad aprire un tavolo di confronto con tutti i soggetti interessati. Entro marzo Comuni, Province, enti gestori dei servizi sociali e sanitari, dipartimenti materno-infantili delle Asl, servizi di psicologia e neuropsichiatria infantile, giudici minorili saranno chiamati ad esprimere il proprio parere. Una decisione che nasce dalla consapevolezza che il clima di scontro non aiuta nessuno.
Tanto meno i bambini più fragili e indifesi. Proprio su questo aspetto è intervenuto ieri anche l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ricordando che, di fronte ai bisogni dei piccoli in difficoltà «il mondo cattolico ha sempre dato seguito con l’accoglienza, attraverso persone che per l’infanzia hanno speso la vita, e con strutture e servizi, attività educative. In tempi recentissimi la vita di Santa Madre Teresa di Calcutta ci ricorda il suo stile di accoglienza verso i bambini abbandonati, che considerava tutti suoi veri figli». Una sottolineatura che vuol essere un invito a moderare i toni e a rimettere al centro i reali interessi dei bambini.
Nosiglia naturalmente non entra nel merito della legge e non prende posizione per questo o per quel partito. Si limita a ricordare «che anche le associazioni cattoliche insieme all’Ufficio Famiglia della Curia diocesana che si occupano di questo problema» ritengono che il provvedimento sia da rivedere. Ma il dibattito, osserva ancora l’arcivescovo di Torino, dev’essere sereno e costruttivo, non deve diventare motivo di scontro tra gli schieramenti. «Ci si occupi piuttosto dei "diritti" dei bambini: alla vita, a una famiglia accogliente e sicura, a una scuola per l’infanzia gratuita per le famiglie numerose e a un sostegno per quelle povere; a educatori che sappiano esercitare una vera e profonda umanità».
Per aiutare i minori insomma, occorre unire le forze e mettere da parte il clima di scontro ideologico che ha segnato fin qui il dibattito in Piemonte. Oppure il clima prelettorale in Emilia Romagna. Se è utopistico e ideologico il proposito di arrivare al cosiddetto "allontanamento zero" – le statistiche dicono che in 8 casi su 10 i problemi che motivano il provvedimento giudiziario non sono risolvibili all’interno delle famiglie – lo è altrettanto schierarsi a difesa del sistema esistente nella convinzione che tutto vada conservato, senza modifiche.
Le carenze sono tante, come più volte abbiamo messo in luce a partire dal caso Bibbiano, e l’urgenza di interventi di riforma non è procrastinabile. Definire il "miglior interesse del bambino", con tutti gli interventi che ne conseguono, non può essere affidato alla valutazione di un solo attore del sistema – che sia un giudice, un assistente sociale, uno psicologo – ma deve nascere da una verifica trasversale, in cui le famiglie abbiano la possibilità di fare sentire la propria voce fin dall’inizio del procedimento, con un dibattito paritetico, oggi non previsto dal diritto minorile.
E, allo stesso tempo, vanno ridefiniti, con tutti i contrappesi necessari, i ruoli di assistenti sociali, operatori delle strutture d’accoglienza, terapeuti secondo un criterio di trasparenza che oggi non risulta sempre evidente. Ecco perché – come giustamente osserva l’arcivescovo Nosiglia – ai minori in difficoltà non servono né leggi fuori dalla realtà né scontri politici permanenti, ma interventi intelligenti sostenuti da donne e uomini di buona volontà.