La legge 184. Adozioni, svolta della Consulta
La legge sulle adozioni che dispone l’interruzione dei rapporti tra il bambino adottato e la famiglia di origine non è incostituzionale ma, in alcun casi, anche l’attuale disciplina dell’adozione piena non impedisce al giudice di prevedere, nel preminente interesse del minore, che vengano mantenute relazioni socio-affettive con la famiglia d’origine.
«Ove sussistano radici affettive profonde con familiari che non possono sopperire allo stato di abbandono - si legge nella sentenza della Corte costituzionale depositata ieri (redattrice la giudice Emanuela Navarretta) - risulta preminente l’interesse dell’adottato a non subire l’ulteriore trauma di una loro rottura e a veder preservata una linea di continuità con il mondo degli affetti, che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità». La Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate dalla Corte d’appello di Milano e ha precisato i termini della sua interpretazione conforme alla Costituzione. In sostanza il riferimento alla cessazione dei rapporti con i componenti della famiglia d’origine - spiegano i giudici della Consulta - riguarda sempre i legami giuridico-formali di parentela.
Diversamente, per le relazioni di natura socio-affettiva non si può ritenere, in termini assoluti, che la loro cessazione realizzi in ogni caso l’interesse del minore. Non è, pertanto, precluso al giudice verificare in concreto che, «sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità », risulti nel suo preminente interesse mantenere «significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine», che non possono «sopperire allo stato di abbandono» del minore stesso. « Potrebbe, per ipotesi, trattarsi di nonni - si legge ancora nella sentenza - impossibilitati a farsi carico dell’assistenza del minore per età o per condizioni di salute, ma che rappresentano un importante punto di riferimento affettivo», ma anche di fratelli e di sorelle.
Una sentenza che soddisfa sia le parti coinvolte nel procedimento, sia le associazioni. La posizione tratteggiata dalla Corte costituzionale è infatti in sostanza quella auspicata in sede di dibattimento, il 5 luglio scorso, da Elisabetta Lamarque, avvocata delle parti private nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, che è ordinaria di diritto costituzionale nell’università Bicocca di Milano. La vicenda che ha dato origine all’intervento della Corte costituzionale riguarda due fratellini che nel 2017 hanno assistito al femminicidio della madre per mano del padre, condannato a 16 anni di reclusione e a cui è stata tolta la responsabilità genitoriale. Collocati in affido preadottivo presso una coppia, i fratellini hanno continuato a vedere la nonna materna, il prozio e gli zii paterni.
La Corte d’appello di Milano aveva disposto un affidamento preadottivo “aperto” e aveva sollevato il dubbio di incostituzionalità in riferimento all’articolo 27 della legge 184 del 1983, che appunto dispone l’interruzione dei rapporti con la famiglia di origine. Ora la sentenza della Consulta rimette ordine in una vicenda intricata in modo equilibrato, senza automatismi legislativi ma lasciando al giudice la possibilità di valutare caso per caso quando mantenere i legami affettivi con alcuni membri della famiglia di origine. Soddisfatta anche l’Anfaa (Associazione famiglie adottive e affidatarie) che in precedenza aveva manifestato perplessità sulla svolta della Consulta: «Sentenza adeguata nei rari casi in cui - spiega Frida Tonizzo - è giusto il mantenimento di rapporti con famiglia di origine, ma che non può riguardare casi di abusi o di maltrattamenti».