Adozioni. Si torna a investire più cooperazione e rimborsi
Le adozioni al tempo del coronavirus ripartono da 4 milioni e 500mila euro. Insufficienti forse per un ritorno all’età dell’oro, quella a cavallo tra 2005 e 2010, quando quattro o cinquemila bambini asiatici, africani, sudamericani o dell’Est Europa diventano ogni anno italiani perché accolti come figli dalle nostre famiglie. Sufficienti però a dare una scossa a un settore profondamente in crisi a cui questi mesi di emergenza sanitaria avrebbero potuto assestare un colpo fatale. Invece, proprio alla fine di un semestre difficilissimo, sta rispuntando la speranza. Diversi, e tutti confortanti, i motivi.
Dopo anni l’Italia torna a investire sulle adozioni. Un bando di cooperazione internazionale come quello pubblicato nei giorni scorsi dalla Cai ( Commissione adozioni internazionali) non si vedeva da dieci anni. Per un importo di 4 milioni e 500mila euro si punta a promuovere «la prevenzione e il contrasto all’abbandono dei minori nei Paesi di origine». Gli interventi proposti dagli enti autorizzati «dovranno esse- re finalizzati a facilitare il permanere dei minori nella famiglia naturale e più in generale nel contesto socioculturale di appartenenza: in famiglie affidatarie o adottive».
Ma non è tutto. Oltre alla cooperazione, sono in arrivo i sostegni alle famiglie e agli enti – la richiesta si aggira sui sei milioni, ma forse non arriveranno tutti – che il ministro per la famiglia, Elena Bonetti ha promesso in tempi brevi, spiegando che «il tema delle adozioni internazionali esige costante cura e attenzione da parte delle istituzioni, sollecitudine che sarà resa ancora più necessaria in questo tempo di ripresa dall’emergenza sanitaria causata dall’epidemia». Inoltre sarebbero pronti i rimborsi per le famiglie relativi alle adozioni del 2018. Dopo anni di stasi il mondo delle adozioni internazionali non era più abituato a risposte così solerti da parte delle istituzioni. E poi ci sono i dati, non così disastrosi come era stato prospettato nel pieno dell’emergenza Covid.
A fronte del calo costante di questi ultimi anni – nel 2019 sono arrivati 1.205 bambini – le previsioni degli enti parlavano per il 2020 di circa 400-500 arrivi. Tra gennaio e giugno, cioè i mesi più difficili, sono state però concluse 212 adozioni per un totale di 262 bambini. Una bella sorpresa che nasce dalla regia sapiente di un’esperta come Laura Laera, vicepresidente Cai nell’ultimo triennio. Ed è proprio lei, che all’inizio del mese ha lasciato la guida dell’ente per raggiunti limiti d’età – dopo aver ridato slancio a un settore piegato dalle pessime gestioni del passato e da troppi luoghi comuni negativi – a dirsi fiduciosa sul futuro delle adozioni. «Le coppie diminuiscono? Le lungaggini burocratiche e i costi sono impegnativi? Può essere vero, ma se guardiamo la situazione da un’altra prospettiva ci sono anche segnali incoraggianti ».
L’ex presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze invita per esempio a non trascurare le circa tremila coppie che hanno dato mandato agli enti per avviare l’adozione internazionale. Meno della metà, probabilmente, arriverà ad accogliere un bambino senza famiglia, ma intanto il dato testimonia che lo sguardo positivo verso l’adozione non viene meno. Affermazione lecita anche alla luce dei circa 400 abbinamenti già conclusi. Genitori cioè a cui è già stato assegnato un bambino e che attendono solo il perfezionamento della pratica. «Ci sono coppie straordinarie. Genitori disponibili a rimanere tre mesi in Niger, per esempio, con passione, consapevolezza e anche, certo, con grande spirito di sacrificio. Ma, come detto più volte, se è vero che l’adozione internazionale è un’avventura entusiasmante, è altrettanto vero che non è per tutti».
A pesare, oltre ai costi, sono i tempi spesso difficilmente quantificabili. Almeno 10-12 mesi per ottenere l’idoneità dai Tribunali per i minorenni. E poi un periodo variabile da uno a tre anni per le concludere le pratiche nei Paesi stranieri. Con situazioni come quella della Bulgaria dove non si attende meno di cinque anni. Eppure proprio dal quadro internazionale potrebbero emergere prospettive incoraggianti. «Tanti riavvicinamenti con Paesi da cui tradizionalmente arrivano i bambini – riprende Laera – sono stati già conclusi nei mesi scorsi, come con la Cambogia.
E ci sono speranza concrete per riprendere le adozioni in vari Paesi africani. Dobbiamo ragionare in una logica di solidarietà internazionale. L’accoglienza va sempre allargata ai bisogni del Paese da cui provengono i bambini». In questa prospettiva il nuovo bando internazionale prevede progetti su tre tematiche prioritarie: salute, accoglienza ed educazione, con iniziative da realizzare nel territorio di una decina di Paesi in Africa, America latina e Asia. Una svolta? «Può essere, ma non basterà se non riusciremo ad avviare una nuova cultura dell’adozione – conclude l’ex vicepresidente Cai – anche con strumenti di accoglienza diversi, come la cosiddetta Open Adoption o l’affido internazionale. Ogni percorso andrebbe verificato con professionalità e senza pregiudizi ideologici. Sempre con la consapevolezza della necessità, da parte delle istituzioni pubbliche, di verificare ogni passaggio e assicurare, nel limite del possibile, il buon esito del percorso di adozione».