Il Pg della Cassazione. «Adozioni, la legge non consente la stepchild»
Rimettere alle Sezioni unite della Cassazione – cioè al vertice più autorevole della Suprema Corte – la decisione sull’adozione all’interno di una coppia omosessuale, oppure dire no alla stepchild adoption in quanto la legge sulle adozioni non è applicabile in casi come questo. Non ha usato mezzi termini, nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale della Cassazione Francesca Ceroni nel corso dell’udienza davanti alla prima sezione civile chiamata per la prima volta a decidere sul caso di un’adozione da parte di due donne, sposate tra loro in Spagna, di una bambina di 6 anni, figlia biologica di una delle due. Sul tavolo «un tema sul quale tutta Italia si interroga – ha osservato il sostituto pg – e su cui il Parlamento sta legiferando avendo stralciato la questione dal ddl Cirinnà». Ecco perché è più importante che mai che non ci siano «oscillazioni»: secondo la Procura generale «solo le Sezioni unite possono evitare che in Italia si determini una situazione a macchia di leopardo con decisioni diverse da Venezia a Messina». Diversamente «ogni giudice di merito darebbe la sua interpretazione». Proprio come sta accadendo. Ma è entrando nel merito della legge, e di ciò che quest'ultima consente in fatto di adozioni, che le dichiarazione del pg Ceroni sono decisive. Il magistrato ha infatti sottolineato l’inapplicabilità della legge 184 del 1983 (in base alla quale invece alcuni giudici di merito hanno stabilito la possibilità di adottare il figlio biologico del partner, ovvero la tanto discussa stepchild) rifacendosi alla norma sulle adozioni “in casi particolari”: «La legge – ha affermato il pg di Cassazione – si occupa solo di infanzia maltrattata e abbandonata, e di genitori in difficoltà. Si occupa cioè di evitare lo smembramento e prevede l’adozione solo in caso di abbandono. Mentre oggi parliamo di un minore amato e curato dal genitore biologico», ragion per cui va accolto il ricorso della Procura di Roma contro la sentenza che aveva detto sì all’adozione da parte della compagna della madre biologica della bambina. Il 24 febbraio d’altronde era stato lo stesso procuratore generale Giovanni Salvi a spiegare, attraverso un comunicato, la decisione del suo ufficio di ricorrere contro la sentenza d’appello del 20 ottobre 2015, che dava appunto il via libera all’adozione della piccola. Anche Salvi aveva giustificato l’iniziativa spiegando che «in assenza di una espressa disciplina normativa è necessario raggiungere un’interpretazione univoca della norma, che superi gli attuali contrasti di giurisprudenza e assicuri a tutti eguale trattamento». Nel caso specifico, l’impugnazione però riguardava principalmente la necessità di nomina di un curatore speciale della minore ai sensi dell’articolo 78 del Codice di procedura civile per la possibilità di conflitto di interessi del minore con il genitore. Una possibilità che i giudici di primo grado, e poi quelli di secondo, avevano escluso senza dubbi ritenendo superflua la presenza di un curatore in un contesto familiare che, a loro avviso, «esaltava il benessere psico-fisico della minorenne» con la madre biologica e la compagna. La prima sentenza di merito sul caso era stata emessa dall’allora presidente del tribunale dei minori di Roma Melita Cavallo nell’agosto 2014. La sentenza è stata quindi confermata dalla Corte d’appello, ma la procura generale aveva fatto ricorso in Cassazione. In materia di stepchild nelle coppie omosessuali finora quattro sentenze sono passate in giudicato perché non appellate. La Cassazione è dunque chiamata per la prima volta a pronunciarsi e lo farà «in tempi brevi», come ha sottolineato in una nota la Prima sezione civile. Cioè prima di un mese, che di solito è il tempo canonico del deposito delle motivazioni di una sentenza civile.