Adozioni, quale riforma? Come ripensare una norma che dovrà comunque mettere al centro i diritti dei bambini e non i desideri degli adulti? I responsabili di tre grandi associazioni, da tanti anni in prima linea sul fronte dell’adozione e dell’affido – Aibi, Anfaa e Cai – concordano sulla premessa. Ma sulla ricetta da applicare le opinioni divergono. Si va dalla 'rivoluzione profonda' sollecitata da Aibi agli 'interventi chirurgici' proposti, secondo modalità diverse, da Anfaa e Cai. Partiamo da Marco Griffini, presidente
Aibi (Associazione amici dei bambini). Il suo elenco di ciò che non va è lunghissimo. «Innanzi tutto – spiega – cancelliamo la cultura della selezione e promuoviamo l’accompagnamento. È assurdo che un tribunale pronunci sentenze di idoneità per le coppie che vogliono adottare. Non succede in nessun altro Paese. In questo modo perdiamo 500 famiglie adottive l’anno. Perché non sostenere invece le famiglie con percorsi di accompagnamento all’adozione? ». Altro punto fermo della ricetta Aibi: portare l’adozione internazionale sotto l’ombrello del ministero degli Esteri, con a capo un ambasciatore. Dovrebbe diventare un capitolo della cooperazione internazionale. «Usa e Francia lo fanno. È l’unico modo per avere autorevolezza nelle trattative con gli Stati ». Importante anche, secondo Griffini, rivedere il numero degli enti autorizzati – «62 sembrano davvero troppi» – e intervenire sui costi, oggi decisamente pesanti per troppe famiglie: «Devono tornare ad essere almeno per il 50 per cento a carico dello Stato, come succedeva fino al 2011, prima che i fondi terminassero». Frida Tonizzo, consigliere nazionale di
Anfaa ( Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) si dice invece convinta che non sia tanto la legge 184 a dover essere cambiata, quanto le prassi attuative. La competenza dei tribunali deve rimanere, ma va affrontata l’emergenza dei tempi, oggi troppo dilatati e comunque spesso lasciati all’arbitrio dei vari giudici. «Non è possibile – spiega – che non ci siano tempi certi tra la sentenza e il momento in cui viene depositata. Alcuni tribunale lasciano trascorrere mesi. E per un bambino spesso sono decisivi». Anche il problema delle perizie dilata non di rado il momento delle decisioni: «Visto che i servizi sociali non hanno pià risorse, i tribunali incaricano periti esterni. E le attese si prolungano ». Altro problema aperto quello legato all’impossibilità di sapere quanti sono i bambini effetti-vamente presenti nelle comunità. «Spesso rispuntano quei 300 bambini dichiarati adottabili ma che nessuno vuole perché grandicelli o con varie disabilità. Ma dove sono? – si chiede Frida Tonizzo – La banca dati nazionale doveva arrivare nel 2001. Siamo ancora qui ad attenderla». Migliorare la legge, non cancellarla, è anche la ricetta di Paola Crestani, presidente
Ciai (Centro italiano aiuti all’infanzia). Anche a suo parere il ruolo dei tribunali va salvaguardato, ma l’idoneità dovrebbe essere formulata e comunicata sia alle coppie che fanno richiesta sia per l’adozione nazionale, sia per l’internazionale, «mentre troppo spesso ci sono famiglie che attendono anni senza sapere più nulla». Tempi troppo lunghi? «Verissimo. Nella legge vanno introdotti dei termini perentori per l’espletamento della procedura. Quelli previsti sono spesso disattesi e il problema si ripresenta in ogni passaggio procedurale». Altri interventi urgenti dovrebbero riguardare il cosiddetto affido sine die («dovrebbe essere prorogato in caso di necessità solo per altri due anni, rispetto ai due già previsti dalla legge»; un controllo più attento degli enti («inserire nella legge criteri di maggior qualità vuol dire poter avere un maggiore controllo sulla legalità delle procedura di adozione internazionale »); sostegno nel tempo della famiglia adottiva: («va previsto un monitoraggio periodico, come indicato dal Comitato Onu, sullo stato di benessere di bambini e famiglie adottive e vanno implementati i sostegni nel post-adozione»).